Nulla di eroico in una morte senza scelta

È stato trovato il corpo dell’ultima vittima del sisma che ha colpito Amatrice.
Si tratta di un ragazzo afgano, si chiamava Sayed, fuggito da una guerra che ormai da tempo immemore dilania il suo paese e la sua gente.
Dicono avesse trovato un lavoro da pizzaiolo da qualche parte, qui in Italia, forse a Torino, e che tra non molto avrebbe cominciato la sua nuova vita da quelle parti, una vita piena di speranza, colma della voglia di ricominciare.
E invece lo hanno trovato sotto le macerie del nostro paese a pezzi.
È come se la tragedia ci parlasse, ci dicesse che alla fine si muore tutti, nello stesso modo, e che nell’ultimo istante poi non conti tanto il colore della pelle, la nazionalità, la propria storia.
Chissà cosa avrà pensato Sayed poco prima di morire: probabilmente ha chiuso gli occhi e ha immaginato il suo paese, la sua famiglia, una donna amata. Chissà.
Qualcuno già parlava di eroismo, di morte eroica, di alto sacrificio.

Qualcuno in televisione, con la faccia contrita dal dolore, ha parlato della gente che ha dato la vita per Amatrice.
Parlare di eroismo, di estremo sacrificio, però è pericoloso.
È pericoloso perché, quando uno è eroe, vien da pensare che forse se la sia in un certo senso cercata.
Lo dissero anche di Falcone e Borsellino, che forse avrebbero fatto meglio a farsi gli affari propri: qualcuno disse persino che Falcone si fosse messo da solo il tritolo sotto quello scoglio dell’Addaura.
E allora si arriva persino a dire che certe cose non ci riguardano poi più di tanto, che certe tragedie colpiscono solo alcune persone: forse quelle più sprovvedute, quelle più incaute, quelle più avventate, magari anche più coraggiose. Ma sempre poche.
E invece no.
Uno è eroe se, consapevole degli infiniti rischi che corre, consapevole del fatto che il suo impegno potrebbe richiedere il pagamento del prezzo più alto, decide comunque di perseverare nel suo proposito.
Eroi erano Giorgio Perlasca, Guglielmo Oberdan, Giordano Bruno, Giovanna D’Arco, Giacomo Matteotti, Giuseppe Impastato.
Sayed non era un eroe, era uno normale, magari un po’ più sfortunato degli altri, ma comunque un tipo comune, uno di noi.
Sayed non era consapevole dei suoi rischi, non avrebbe mai scelto di morire: se il giorno prima del sisma, il 23 agosto, gli avessimo detto dei rischi che avrebbe corso quella notte, che cosa avrebbe fatto? Probabilmente avrebbe scelto di andare via, esattamente come avrebbero fatto le altre 295 persone coinvolte.
Durante la notte, un sonno tranquillo li aveva raggiunti, sereno, libero da preoccupazioni, se non quelle dovute ai normali affanni che accompagnano la vita di tutta la gente comune.
Non erano eroi, erano quasi trecento poveri cristi che ci hanno rimesso la pelle.
E questo è importante capirlo: è importante capirlo perché potrebbe capitare a tutti, potrebbe succedere ad ognuno di noi, proprio perché non v’è diritto di scelta, di esercitare alcuna opzione.
Resta solo il vuoto di tante vite spezzate, di altrettante famiglie rovinate, beffate da un rapporto della Protezione Civile che già dal 2012 presagiva il disastro che abbiamo visto.
Proprio in considerazione di questo è dovere di una società civile cercare, scavare, pervicacemente per portare alla luce verità e responsabilità, tormentati da un corrosivo interrogativo: che fare perché tutto questo non accada ancora?
Savino Balzano