A proposito di Fertility Day

È ormai stranoto, dal momento che i social network sono invasi da commenti di disapprovazione relativi a questo evento, che il Ministero della Salute abbia lanciato per il prossimo 22 settembre il Fertility Day.
Sul punto si possono fare diverse considerazioni: c’è chi non ha gradito l’iniziativa, dal momento che sottenderebbe una visione “etica” dello Stato, che con fare “ingerente” proverebbe a condizionare il comportamento delle donne in primis, ma anche degli uomini, relativamente alla procreazione, mentre – attenendosi a questa visione – certi ambiti dovrebbero rimanere protetti dall’uscio di casa e sottratti alle dinamiche pubbliche.
Si tratta di temi ampiamente arati già nel periodo a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo: si pensi alla contrapposizione evidenziata da Benjamin Constant tra la libertà dei moderni, liberale e scevra da invadenze dello Stato nella vita privata dei suoi cittadini, e quella degli antichi, laddove la sfera pubblica e quella privata finivano col coincidere, con evidenti limitazioni per le scelte individuali.
È un punto di vista.
In effetti, tuttavia, fermo restando il rispetto assoluto che si debba alla donna, tenuto saldo il principio per il quale la funzione sociale della donna non possa essere assolutamente relegata alla procreazione, c’è da chiedersi se il problema sia proprio questo.
Essì, perché in effetti al Governo spetta anche la funzione di orientare la demografia del paese e le sue ricadute: il sistema previdenziale, per dirne una, si può reggere solo se v’è un equilibrio intergenerazionale che sia saldo e non completamente riversato sugli anziani, come tendenzialmente in Europa sembra stia avvenendo. Rilevazioni di natura demografica, possono portare a scelte politiche precise anche in ambiti apparentemente molto distanti, si pensi a quanto la Germania ha fatto in materia di immigrazione anche per questo motivo: non sono stati tanto accoglienti solo per generosità d’animo, avevano una cogente necessità di “ringiovanimento”.
Ecco dunque che parametri di natura quantitativa, demografica appunto, economicistica, possono avere un’influenza notevole anche in scelte di ambito apparentemente distante, come quello appunto della procreazione.
Il disappunto è forse strettamente incardinato al tema della responsabilità, della prospettiva, della stabilità.


De Andrè cantava: “Io forse ho confuso il piacere e l’amore, ma non ho creato dolore”.
Ciò che ha frustrato i destinatari della campagna, infatti, non deve essere interpretato solo alla luce della volontà rivendicativa della “proprietà privata” del proprio corpo e delle proprie scelte di vita, bensì nel fatto che essi abbiano colto, con ogni probabilità, la beffa intrinseca ad un invito del genere.
La nascita di un figlio non può essere vista come una scelta istantanea e contingente: essa costituisce una impegno morale, civile e sociale nei confronti di un progetto di vita, di una prospettiva di vita, di un investimento a lungo termine da proiettare sulla propria prole.
Il Governo, dunque, ha il compito di abbattere tutti gli ostacoli a che tale “fertilità sociale” si compia, prima di invitare il popolo a procreare.
Analizzando la situazione attuale del paese: come siamo messi con gli asili nido? In che stato versano le scuole? Si sta investendo in formazione? Si sta lavorando sugli incentivi e sulla tutela del diritto allo studio? Che possiamo dire della sanità? C’è impegno sul fronte del recupero sociale degli emarginati? Si investe sull’Università? C’è impegno sulle politiche occupazionali? I futuri genitori, soprattutto alla luce del recente Jobs Act, potranno contare su un reddito sicuro e duraturo su cui fondare la crescita serena dei propri figli? In caso di perdita di impiego, possiamo contare su forti ammortizzatori sociali e politiche di reimpiego?
Finché mettere alla luce un figlio costituirà un atto di coraggio e non solo un atto d’amore, difficilmente campagne come il Fertility Day potranno essere accolte con predisposizione e gioia.
Forse questo è il punto.
Savino Balzano