Election day USA 2016: Trump trionfa, per la Clinton la notte più buia

Il verdetto è finalmente arrivato, dopo 19 mesi di campagna elettorale serratissima ed una intera notte di tribolazione, gli Americani hanno scelto il loro 45mo Presidente: sarà quello che viene considerato da più parti “populista”, sarà Donald Trump a traghettare gli Stati Uniti d’America fuori dalla politica di sostegno sociale di Barak Obama, probabilmente verso una nuova era fatta di  protezionismo, opere pubbliche e dimezzamento delle tasse.

L’outsider, l’uomo fuori dall’Establishment, l’impresario costruttore di palazzine e campi di golf, Trump è stato definito in molti modi, denigrato e costantemente delegittimato dai propri avversari e dai propri alleati politici, messo alla berlina da media e giornali senza esclusione, come sessista, maniaco ed invasato, ed ora arriva alla Casa Bianca con una vittoria schiacciante, che nessuno ha saputo leggere e prevedere.

Mentre media, banche, cancellerie di mezzo mondo e lo star system tifava Mrs. Hillary Clinton, solo uno sembrava aver capito la “pancia d’America”; il regista e premio Oscar Michael Moore a luglio era in Ohio a girare il suo documentario Trumpland, proprio nel cuore operaio degli States che hanno voltato le spalle al sistema, testimoniando l’odio per l’Establishment e per la Clinton di quella middleclass americana fiaccata dalla crisi economica del 2008 e dai NAFTA. Moore aveva invitato i suoi “amici liberal” ad uscire fuori dalla bolla di ignavia nella quale si trovavano, per scongiurare la rabbia degli operai della Rust Belt, a Nord dei Grandi Laghi: Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin.

Ma nessuno è profeta nella propria patria.

La sconfitta di Mrs. Hillary Clinton è stata sonora, e proprio in quegli stati operai che avevano tanto sostenuto Barak Obama e che lui ha finanziato fino a ieri, praticamente. In più, aver perso consensi tra i millennials, le donne e le minoranze afro e latine, ha segnato un passo indietro clamoroso nella politica  democratica americana, che non ha saputo capitalizzare il successo di Obama, ma neppure l’esperienza della Clinton. E questo non per merito degli avversari.

Insomma, il fallimento dell’Establishment è stato totale, come assoluta la mancanza di prospettiva e di lettura degli eventi da parte della classe politica dirigente americana. L’incapacità di comprendere, di spiegare e di convincere i cittadini, di capire cosa esprimesse e dove si dirigesse il Paese, è forse la colpa più grande del sistema di informazione americano.

Tuttavia, il popolo si è espresso in piena libertà e per quanto possa essere scioccante immaginare un’America più chiusa in se stessa e poco incline a raccogliere la sfida ambientale, rimane una delle più importanti democrazie al mondo, capace comunque di dare esempio di un fair play fuori dal comune: terminata la durissima campagna elettorale, tutto viene messo da parte in nome dell’unità nazionale, ora più necessaria che mai, e del bene comune superiore per la Nazione; così tanto Obama, che la Clinton, che lo stesso Trump hanno già garantito piena collaborazione per un passaggio di testimone pacato e pacifico, perché più che Democratici o Repubblicani, i cittadini sono innanzitutto Americani e in base a questo vanno tutelati.

 

Rossella Marchese