L’Arabia Saudita nella Commissione ONU sullo status delle Donne

A twilight view of the Manhattan skyline.

Per i prossimi quattro anni, l’Arabia Saudita avrà una rappresentanza tra i 45 membri che costituiscono la Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (Uncsw), l’organismo ONU più impegnato nella lotta per l’uguaglianza di genere e l’avanzamento delle donne. Un po’ come dire… affidiamo le pecore ai lupi…La nomina, infatti, appare poco coerente con la posizione che nel Report sulla parità di genere del Forum Economico Mondiale occupa questo Paese: 141 su 144.
In Arabia Saudita, le donne sono ancora vittime di matrimoni combinati, violenza domestica, di stupri legalizzati, vige la separazione dai maschi nei luoghi pubblici e le donne non possono avvicinarsi al mondo del lavoro senza autorizzazione dell’uomo. Solo da pochi anni hanno acquisito il diritto di guidare, andare in bicicletta o praticare sport di squadra. Nonostante questa condizione sia ben nota, avrebbero votato a favore di questa nomina anche i seguenti Paesi europei: Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Svezia e Regno Unito ai quali si sono uniti gli Stati Uniti oltre naturalmente a diversi Stati arabi. Viene spontaneo chiedersi quali siamo state le motivazioni (politiche? economiche?) che hanno condotto paesi europei “illuminati” a fare una scelta che ha suscitato non poche perplessità.
Per capire meglio, quanto la nomina sorprenda, basta rammentare un episodio che sebbene risalente nel tempo appare esegetico di quanto sin qui detto; nel 2006 una diciannovenne saudita venne sorpresa da due uomini mentre era in macchina con un amico, sequestrata e quindi violentata da un gruppo di sette uomini. La donna, musulmana sciita, è stata inizialmente condannata a novanta frustate per aver violato le leggi saudite sulla segregazione dei sessi, ma dopo aver presentato ricorso alla Corte Generale saudita, la sua pena è stata raddoppiata. Nonostante le critiche della comunità internazionale, l’omologo del Ministero della Giustizia ha difeso la decisione del tribunale, affermando che la donna era colpevole di trovarsi sola in un luogo pubblico senza un membro maschio della famiglia.
Maria Grazia Palmarini