La lotta alla stabilizzazione dei precari italiani passa per la Corte di Giustizia Europea

 Che le sentenze della Corte di Giustizia Europea siano fonte primaria del diritto comunitario e, per questo, strategiche nell’evoluzione legislativa dei singoli Stati Membri è cosa nota. Altrettanto nota è la lentezza e riluttanza con cui lo Stato italiano recepisce ed applica i principi di diritto contenuti in quelle sentenze.

Nel caso della vicenda dei precari della scuola, ad esempio, il ruolo della Corte è stato emblematico: nel 2014 l’abuso dei contratti a tempo determinato nel settore scolastico arrivò fino in Lussemburgo, dove i giudici sentenziarono la contrarietà al diritto europeo e l’ingiustificabilità del rinnovo illimitato dei contratti di lavoro a tempo indeterminato per soddisfare le permanenti e durevoli esigenze delle scuole statali italiane.

A seguito della sentenza che condannava l’Italia ad adeguarsi alla normativa europea in materia, ci furono una serie di interventi legislativi, tra cui la legge 107 del 2015, consistenti in un piano straordinario di immissioni in ruolo, ma che, a distanza di quasi 3 anni, non hanno ancora risolto il problema, che persiste.

Tuttavia, non è solo il comparto scolastico a soffrire di questa perenne carenza di stabilità lavorativa; si può dire che tutta la Pubblica Amministrazione italiana risente di questo male e la Corte di Giustizia Europea è stata recentemente reinterpellata sulla questione.

Questa volta la questione affrontata dai giudici europei riguardava la vicenda di una donna che per anni ha prestato la propria attività lavorativa nel settore pubblico, alle dipendenze di un’amministrazione comunale (il Comune di Valderice, provincia di Trapani); assunta sin dal 1996 come lavoratrice socialmente utile (L.S.U.), dal 2005 con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co.) ed, infine, con più contratti a tempo determinato successivi con scadenza il 31 dicembre 2016. In merito l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Ue, Maciej Szpunar, ha affermato la legittimità di un risarcimento adeguato del danno subito dalla lavoratrice; pertanto, l’indennità forfettaria prevista in questi casi non può sostituirsi interamente al risarcimento completo del danno.

Scenari “apocalittici”, dunque, potrebbero aprirsi per il pubblico erario, tenendo conto di quante situazioni simili si aggirano nelle aule dei Tribunali italiani.

Nel frattempo, è stato presentato un ricorso formale alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ancora sull’annosa discriminazione che vede gli insegnanti precari non assunti, contestando, nello stesso frangente, pure la sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016, attraverso cui la Cassazione ha stabilito che per rifondere il danno ai precari della P.A. non assorbiti nei ruoli dello Stato debbano bastare tra le 2,5 e le 12 mensilità.

Rossella Marchese