Tecnostress: una nuova sindrome

Il termine tecnostress fu introdotto nel 1984 da Craig Brod, che ne definì le caratteristiche: “un disturbo causato dall’incapacità di gestire le nuove tecnologie informatiche in maniera sana; si può manifestare nella lotta per accettare la tecnologia, e sotto forma di un eccesso di identificazione con la tecnologia del computer”.

Oggi, a distanza di quarant’anni, il panorama è radicalmente mutato: siamo passati dai computer a schede perforate di quell’epoca ai molteplici strumenti odierni e alla diffusione del web per cui attualmente la definizione più adeguata è: “il tecnostress è una sindrome da stress causata dall’utilizzo eccessivo delle ICT (Information and Communication Technologies) che causa ripercussioni sulla sfera personale, sociale e lavorativa dell’individuo”.

La definizione moderna di tecnostress pone dunque l’accento sull’enorme quantità di informazioni che arrivano quotidianamente da più parti e che l’individuo deve gestire.

Quando la quantità di informazioni proveniente dai vari dispositivi (pc, smartphone, tablet e le varie applicazioni dedicate) è “troppa” avviene ciò che viene chiamato “information overload”, un sovraccarico cognitivo che determina uno stato di allarme e stress che si ripercuoterà inevitabilmente sull’organismo con l’insorgenza di disturbi sia di tipo fisico che psichico.

Nel 2014 l’INAIL ha inserito il Tecnostress nelle malattie professionali non tabellate, considerandolo come danno da costrittività organizzativa rientrante nelle malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzione dell’organizzazione del lavoro.

La valutazione va effettuata analogamente a quella dello stress lavoro-correlato.

Più cause concorrono all’insorgenza di questa patologia:

Formazione non adeguata: la carenza di formazione nell’uso delle tecnologie nel lavoro da remoto che ha creato notevoli problemi a coloro che stanno lavorando in tale modalità.

Problema anagrafico: i giovani sono mentalmente attrezzati per questo tipo di attività ma tutti i lavoratori meno giovani hanno trovato non poche difficoltà a gestire da soli le tecnologie informatiche, a usare le diverse e complesse piattaforme software, a gestire le videochiamate, ad interagire attraverso molteplici canali comunicativi.

Connessione continua: il lavoratore sottoposto tutta la giornata al flusso ininterrotto della connessione continua comincia ad avere difficoltà a distaccarsi e sviluppa comportamenti “reattivi” disfunzionali come l’essere sempre presenti, aumentare la prestazione lavorativa oltre l’orario, rispondere subito alle mail o ai messaggi a qualunque ora, pensare continuamente a come rispondere al superiore, ai colleghi, ai clienti…

Agire subito è importante prima che si arrivi al ben più grave “burn out” che è una sindrome conseguenza di stress cronico sul posto di lavoro.

Durante l’esperienza clinica con persone soggette a forme di stress da lavoro correlato, nei casi di tecnostress, come psicoterapeuta ritengo più utile l’approccio“educativo” ovvero cambiare radicalmente le proprie abitudini.Un approccio non “patologizzante” finalizzato a determinare, nelle persone, la corretta gestione della tecnologia,nella quale decidiamo con noi stessi di ri-stabilire il giusto equilibrio con il mondo digitale ed in ultima analisi con noi stessi.

Assunta Landri

psicologa – psicoterapeuta
consulente procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli
Sportello d’Ascolto QUIperTE UNISIN Regionale Campania