Non si può morire per una pizza

Recitavano così la maggior parte degli striscioni presenti a Firenze durante la manifestazione contro la precarietà delle condizioni di lavoro dei rider. No, non si può morire per una consegna, non si può far finta di non conoscere le condizioni lavorative in cui versa questo settore che concede un contratto di lavoro autonomo e una paga a cottimo. E, proprio a causa di questo, il giorno dopo la morte di Sebastian Galassi, è partita una e-mail automatica che lo licenziava in tronco per non aver portato a termine la consegna. È questo il futuro, un algoritmo che licenzia una persona, o meglio una matricola a caso, morta la sera prima proprio durante quella consegna.

Si può morire per una pizza? La vita di questi ragazzi e ragazze vale più di un panino, hanno fatto bene a ricordarlo negli striscioni.

Il problema e anche nocciolo della questione è che se lavori a cottimo, sei costretto a correre per poter fare più consegne possibili e arrivare a fine mese con qualche soldo in più. D’altronde le maggiori società nel settore baseranno la loro competitività proprio su questo: far sì che i clienti ne scelgano una anziché un’altra per la rapidità della consegna. Un cane che si morde la coda dunque, finché non ci sarà una disciplina chiara e una tutela lavorativa dovuta: un contratto di lavoro subordinato retribuito su base oraria. Altrimenti continueremo a contare i morti sul lavoro sempre con maggior frequenza anche in questo settore, considerato quanto è cresciuto durante la pandemia.

E’ necessario contrastare il fenomeno prima che prenda pieghe irrecuperabili con iniziative di sensibilizzazione e interventi concreti. Ciascuno come consumatore, come cittadino dovrebbe indignarsi davanti a quella che potrebbe configurarsi come una nuova forma di schiavitù.

Milena Di Fina