“Biodiversità” è un termine che unisce due lingue: in greco infatti bios significa vita, mentre in latino diversitas significa diversità. Con questa parola si indica la grande varietà di animali, piante, funghi e microrganismi che costituiscono il nostro pianeta e le relazioni che li legano. Diversità quindi non solo di forma o struttura, ma anche genetica fra individui, l’abbondanza, la distribuzione e le interazioni tra le diverse componenti degli ecosistemi.
Brevi cenni per affrontare un tema sempre sorprendentemente attuale e particolarmente serio: il nostro approccio alla natura e dunque alla biodiversità.
Siamo ancora perlopiù legati come si legge in un saggio: “a un’ottica biblica secondo cui il creato è lì, fisso e immutabile, per soddisfare le nostre esigenze di specie eletta”. Il concetto di “servizi ecosistemici”, utilizzato per specificare quello che le altre specie fanno per noi esseri umani e per gli ecosistemi, ne è una conferma.
Le politiche di protezione della biodiversità, come quelle messe in campo dalle Nazioni Unite con il Millennium Ecosystem Assessment o con IPBES (Intergovermental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), si basano perlopiù sulla “stima delle conseguenze che i cambiamenti degli ecosistemi hanno sul benessere umano” e i risultati si riferiscono “alle condizioni e ai trend degli ecosistemi mondiali e ai servizi che forniscono”, arrivando anche a classificare i servizi in relazione a quelli che sono i benefici che producono per noi.
Il tema delle responsabilità morali che gli esseri umani hanno nei confronti dell’ambiente naturale, degli ecosistemi e di ciò che li costituisce e li compone, è oggetto di discussione teorico-filosofica da parte dell’etica ambientale ormai da decenni. Uno degli “oggetti” di cui l’etica ambientale si occupa, infatti, è proprio la biodiversità. Questa viene intesa come fatto strutturalmente necessario alla sopravvivenza e al mantenimento di ogni ecosistema e degli elementi che lo costituiscono per dimostrare che ambiente, ecosistemi e biodiversità hanno valore e quindi se ne può disporre certamente ma non come meglio ci piaccia senza alcuna differenza; ciò che facciamo alla “natura” può essere considerato moralmente giusto o sbagliato, allo stesso modo in cui può essere moralmente giusto o sbagliato il nostro comportamento nei confronti degli altri esseri.
La biodiversità è importante perché ci sono esseri senzienti e pensanti – come gli umani – che sanno riconoscerla, ma è altrettanto vero che quello della vita, della sua varietà e delle sue interconnessioni è un fenomeno eccezionale che si è prodotto indipendentemente dall’uomo, perché la sua origine e i suoi caratteri sono il frutto di processi che prescindono dall’umano, ma che proprio l’umano purtroppo col suo intervento può distruggere in tutto o in parte. Questo carattere indipendente dei fenomeni naturali e della biodiversità può dare vita a un rispetto “morale”. Purtroppo quelli che sono costantemente ignorati sono i nostri “disservizi ecosistemici”, ai quali si affianca quello che potremmo definire il nostro “ruolo predatorio”. Quando cerchiamo di invertire questa tendenza, lo facciamo troppo spesso in un’ottica antropocentrica e mai, ad esempio, perché sentiamo il dovere morale di lasciare alle generazioni dopo di noi questo pianeta così come lo abbiamo trovato o comunque in condizioni di vivibilità, o ancora per un senso di rispetto verso quelle che sono entità e processi complessi e stratificati. Seppure ci consideriamo una specie superiore, purtroppo, quando si tratta di applicare al mondo non umano la capacità di riflessione morale insita in noi, diventiamo e siamo incapaci di andare oltre quello che è il nostro interesse finendo per agire troppo spesso da predatori.
Daniela Foschetti
Coordinamento UNISIN Donne & Pari Opportunità