Due ottobre 2024, torna la festa dei nonni con i soliti buoni propositi e il suo carico di questioni irrisolte.
Questa ricorrenza civile nasce con la legge 159 del 2005 “quale momento per celebrare l’importanza del ruolo svolto dai nonni all’interno delle famiglie e della società in generale”. La stessa legge istituisce il Premio nazionale del nonno e della nonna d’Italia conferito annualmente, dal Presidente della Repubblica, a dieci nonni che si siano distinti per le loro azioni meritorie nell’ambito del sociale.
La data del 2 ottobre coincide anche con il ricordo liturgico degli Angeli Custodi nel calendario dei Santi. Per rappresentare un’ideale familiare forse un po’ in declino, si è trovato anche un fiore, il “Myosotys”. Un simbolo floreale, che con il suo nome popolare, “Nontiscordardimè”, si pone in dissonanza con l’oblio a cui tendono le società poco preparate a supportare le persone non più autonome.
Una festa, un fiore, un paradosso. Da una parte i buoni propositi, dall’altra la memoria ricorrente dei problemi di sempre. Celebriamo i nonni come elementi portanti del “welfare informale”, ma non riusciamo a trovare il giusto welfare per loro. C’è un punto di non ritorno nella vita dei nostri nonni: la loro non autosufficienza. Un punto che, sulla linea del loro tempo, segna l’inizio del declino e dell’isolamento sociale. Da questo punto in poi, tutto diventa più difficile se si resta da soli. Difficile curarsi adeguatamente. Difficile permettersi (con pensioni anche inferiori a 500 euro) un’assistenza domiciliare privata quando mancano o sono insufficienti i supporti assistenziali pubblici o familiari. Difficile mantenere i propri rapporti sociali in queste condizioni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità “la solitudine e l’isolamento sociale sono strettamente correlati ai sentimenti di vulnerabilità, minaccia e ansia, fino alla depressione e a un serio declino della salute fisica e del benessere…”. Tali problematiche sono più o meno accentuate in relazione al luogo di residenza, alle possibilità economiche, al genere. Le pensioni delle donne, ad esempio, sono spesso più basse di quelle degli uomini perché, occupandosi della famiglia (in assenza o scarsità di strutture di supporto all’infanzia e agli anziani), lavorano meno oppure percepiscono stipendi più bassi dei loro colleghi in carriera (con conseguente minore accumulo contributivo). Ma nessuno dovrebbe subire lo svantaggio dell’appartenenza a una fascia di reddito più bassa, a un determinato genere, a un territorio meno attento ai bisogni della terza età. Per tale motivo, UNISIN/CONFSAL – come Sindacato dei lavoratori da sempre attento alle problematiche del welfare, della conciliazione vita/lavoro, dell’inclusione – continuerà a sollecitare le Istituzioni affinché si creino le condizioni ottimali per una buona vita di tutti gli anziani, senza alcuna differenza e ben oltre il giorno della festività.
Se condividiamo un ideale antico, “amor vincit omnia”, siamo pur sempre consapevoli che l’amore dei singoli familiari e amici (quando capace di resistere all’ostacolo dei tanti impegni quotidiani che minano le relazioni umane e l’affetto familiare) non può bastare senza un moderno ed efficiente sostegno collettivo basato sull’uguaglianza dei cittadini per 365 giorni all’anno.
Brunella Trifilio
Coordinamento UNISIN Donne & Pari Opportunità