Necessari ulteriori sforzi per il contrasto alla violenza di genere

Nello scorso mese di ottobre abbiamo dovuto registrare una recrudescenza dei femminicidi nel nostro Paese: nell’arco di venti giorni tre donne sono state uccise dagli ex compagni; ad integrare questa tragica contabilità, tutti e tre i presunti omicidi erano stati sottoposti alla misura cautelare del divieto di avvicinamento con il monitoraggio elettronico.

Il “braccialetto elettronico” che, tra i provvedimenti a protezione della donna, rappresenta la misura più estrema, è predisposto dall’autorità giudiziaria nei casi in cui gli altri provvedimenti non soddisfano delle particolari esigenze cautelari: allo stalker è imposto l’obbligo di portare un braccialetto elettronico dotato di dispositivo Gps e alla potenziale vittima viene dato un apparecchio in grado di rilevare la presenza dell’aggressore nelle vicinanze e di generare, in tempo reale, una segnalazione di allarme verso le Forze dell’Ordine. Sin dalla sua introduzione è stato segnalato il malfunzionamento di questo dispositivo, con numerose anomalie come l’eccesso di allarmi o al contrario nessuna segnalazione  oppure la segnalazione delle condizioni delle batterie che avviene un attimo prima dello spegnimento, la copertura di rete non ottimale sono alcuni dei problemi che evidenziano l’inadeguatezza dell’approccio “tecnottimista” al contrasto della violenza di genere che viene affrontato sempre sotto il profilo del controllo e della deterrenza senza considerare inoltre, che se l’aggressore ha deciso di compiere l’azione criminale difficilmente le Forze dell’Ordine saranno in grado di intervenire con tempestività.

Nello stesso solco le critiche al “codice rosso” ed al codice rosso “rafforzato” introdotto all’indomani dell’omicidio di Giulia Cecchettin: ad esempio, secondo il codice rosso “rafforzato”, il Procuratore può revocare il fascicolo assegnato al P.M., qualora quest’ultimo non ascolti entro tre giorni una donna che abbia denunciato una violenza sessuale o domestica, ignorando che una donna, che abbia trovato il coraggio di denunciare, difficilmente sia in grado entro “tre giorni” di ripetere il racconto, di rivivere il trauma perché prova vergogna o teme di non essere creduta o non è sufficientemente supportata e protetta.

Indubbiamente nel Codice Rosso vi sono alcuni elementi positivi come l’introduzione del reato di revenge porn o la procedibilità d’ufficio per il reato di violazione del provvedimento di avvicinamento alla persona offesa e non ultimo l’obbligo della comunicazione tra cancelleria penale e quella civile dei procedimenti penali a carico di soggetti violenti ma che succede quando una donna denuncia e poi il soggetto è libero di aspettarla ed ucciderla appena esce dall’ospedale o dopo essere stata ascoltata dal P.M.? Cosa impedisce ad un uomo all’uscita dal carcere di uccidere la donna che lo ha denunciato? E come contrastare la tendenza in ambito civile, nelle cause di separazione, di sottovalutare i maltrattamenti, dove la violenza viene spesso confusa con il conflitto ed un padre violento nei confronti della madre è comunque considerato “un buon padre”.

Occorre uno sforzo nell’investimento economico in politiche strutturali di contrasto alla violenza di genere a partire dalla formazione degli operatori coinvolti (forze di polizia, magistrati), alla riabilitazione dei maltrattanti, all’impiego di risorse per i servizi per promuovere un cambiamento culturale che non è pensabile poter ottenere a “costo zero”.

Dott.ssa Assunta Landri

Psicologa-Psicoterapeuta

Consulente Esperto Codice Rosso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli