Il Crepuscolo del libero mercato

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I dazi di Trump mirano a far calare il sipario sull'era della globalizzazione

Trump Tariffs Aim to Bring Down Curtain on Era of Globalization” – “I dazi di Trump mirano a far calare il sipario sull’era della globalizzazione“. Così ha titolato il Wall Street Journal in concomitanza con l’annuncio dei dazi imposti dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

Chi si aspettava un ridimensionamento, dopo gli annunci dei giorni precedenti sull’imposizione dei dazi sulle importazioni negli Stati Uniti, è rimasto deluso. Con il suo linguaggio diretto e privo di ambiguità, Trump ha annunciato in conferenza stampa la decisione di introdurre dazi su tutte le importazioni negli Stati Uniti. Le tariffe variano: si va dal 49% imposto sulla Cambogia fino a un minimo del 10% per altri paesi, mentre per l’Unione Europea i dazi saranno del 20%. Non è chiaro il motivo per cui la Cambogia sia stata penalizzata in modo così drastico, considerando che si tratta di un paese con un’economia poverissima e prevalentemente agricola. Probabilmente, nelle analisi presidenziali, le spezie cambogiane dovranno costare di più, a beneficio di chi potrà permettersele.

Lasciamo agli esperti le valutazioni tecniche ed economiche su questa sorta di bomba atomica – lanciata, possiamo dirlo con ampio preavviso – sull’economia mondiale, per concentrarci invece su un aspetto più ampio: in un mondo interconnesso sotto ogni aspetto, la decisione di un singolo Stato può avere un impatto devastante sul resto del pianeta. Le avvisaglie di un rallentamento dell’economia globale si erano già manifestate quando, per contrastare l’azione russa in Ucraina, Stati Uniti e Gran Bretagna, seguiti a ruota dalle nazioni europee, avevano imposto pesanti sanzioni alla Russia. Le sanzioni economiche hanno l’effetto di bloccare esportazioni e importazioni verso un determinato paese: cosa c’è di più antitetico rispetto alle regole della globalizzazione, che negli ultimi decenni hanno guidato l’economia mondiale? Se una nazione decide di interrompere, per ragioni politiche, i rapporti commerciali con un altro paese, dovrà inevitabilmente riorientare le proprie esportazioni e importare merci da altri Stati, con conseguenti costi più elevati. In parole semplici, le sanzioni hanno un impatto reciproco: colpiscono sia il paese sanzionato sia chi le applica. Questa è una regola elementare, comprensibile anche per chi non ha nozioni di economia. Lo sanno bene i cittadini e le aziende europee, soprattutto tedesche, che hanno visto aumentare improvvisamente le tariffe energetiche proprio a causa delle sanzioni imposte alla Russia. I dazi, pur essendo uno strumento diverso dalle sanzioni, hanno effetti simili: non limitano la libera circolazione delle merci, ma la rendono più costosa – il che, in sostanza, porta allo stesso risultato. Lo scenario peggiore sarebbe una guerra commerciale con ritorsioni sui prodotti americani esportati in Europa. Ciò significherebbe un aumento dei prezzi per farmaci, vaccini, tecnologia, servizi web e molto altro, considerando il ruolo dominante dell’economia statunitense, soprattutto nel settore informatico, scientifico e farmaceutico.

I dazi colpiscono le merci nel momento in cui attraversano un confine nazionale. Il loro obiettivo principale è proteggere l’industria interna dalla concorrenza estera. Ma il termine protezione richiama epoche che si credevano superate. Senza scomodare le società mercantili che dominavano tra il XVI e il XVIII secolo, dopo la Prima guerra mondiale il protezionismo fu ampiamente utilizzato per tutelare economie devastate. Vale la pena ricordare che gli Stati Uniti non sono nuovi a simili strumenti: negli anni ’30, durante la Grande Depressione, con lo Smoot-Hawley Tariff Act (1930) furono drasticamente innalzate le tariffe doganali. Si potrebbe dire che la storia si ripete, ma purtroppo lo fa sempre nel modo peggiore, senza che chi governa sappia trarne insegnamento. C’è da sperare che, invece di reagire con misure di ritorsione, l’Europa sappia avviare un dialogo per riequilibrare le regole del commercio e mantenere una giusta stabilità negli scambi internazionali. Altrimenti, a pagare saremo tutti, soprattutto i più deboli. Perché, al di là di proclami e rassicurazioni di facciata, l’economia non aspetta: le aziende devono produrre e non possono farlo in perdita. Il mercato ha le sue regole, e sono spietate.  A proposito, se dovessero essere imposti dazi equivalenti sulle esportazioni statunitensi, considerando che il piano Rearm Europe è stato stimato in 800 miliardi di euro e che il maggiore fornitore di armi dell’Europa sono proprio gli Stati Uniti, quanto ci costerebbe il riarmo così caro ai governi europei?

Enzo Parentela