L’Ombra del “996”: Controllo e Superlavoro nell’Era delle Big Tech

Un modello di lavoro tossico e insostenibile: il "996"

L’avvertimento lanciato da Padre Paolo Benanti, esperto di intelligenza artificiale e membro della Pontificia Accademia per la Vita, sulle colonne de Il Sole 24 Ore, riaccende i riflettori su un modello di lavoro tossico e insostenibile: il “996”.

Questo codice, noto per indicare l’impegno dalle 9 del mattino alle 9 di sera, per 6 giorni alla settimana (72 ore settimanali), è emerso inizialmente in Cina, reso celebre da giganti come Alibaba e Huawei, per poi essere dichiarato illegale dalla Corte Suprema del Popolo cinese nel 2021 a seguito di crescenti casi di burnout e decessi legati al superlavoro.  Lungi dall’essere debellato, il “996” sta vivendo una pericolosa resurrezione in Occidente, in particolare tra le startup della Silicon Valley focalizzate sull’Intelligenza Artificiale. Quella che in Cina era una prassi aziendale de facto, seppur illegale, nelle Big Tech occidentali si maschera da “cultura missionaria” e “dedizione estrema”.

Come sottolineano recenti analisi, l’ambiente ad alta pressione delle nuove aziende AI, alimentato dalla frenetica corsa all’innovazione, promuove un’etica del lavoro che sfiora il culto, dove la cancellazione della vita privata è vista come un presupposto per il successo. La promessa di alloggio gratuito o benefit esclusivi, come riportato per alcune startup, è un modo surreale per mascherare una condizione di totale asservimento al ciclo produttivo, erodendo ogni confine tra l’individuo e il dipendente. L’allarme lanciato da Padre Benanti non riguarda solo le ore lavorate, ma si estende al controllo etico in un’epoca dominata dalla cibernetica e dall’Intelligenza Artificiale. L’esperto ha più volte evidenziato come l’uomo rischi di diventare il “sensore perfetto” della macchina, un ingranaggio essenziale per alimentare e controllare sistemi sempre più complessi. In questo scenario, il “996” non è solo un orario estenuante, ma un potente strumento per massimizzare la raccolta dati e l’efficienza dei sistemi, trasformando il lavoratore in un elemento della piattaforma. La fatica, l’esaurimento e l’ansia che ne derivano non sono effetti collaterali, ma conseguenze di un sistema che valorizza la disponibilità totale rispetto al benessere e all’etica del lavoro.

Il revival del “996” rappresenta una regressione rispetto ai passi avanti compiuti, soprattutto nel post-pandemia, sul tema della flessibilità e della conciliazione vita-lavoro. Il modello, che eccede ampiamente i limiti legali di orario (sia cinesi che europei, che fissano tetti massimi di ore di straordinario), innesca un ciclo tossico di burnout e fuga di talenti.

La vera posta in gioco, come ribadito da voci autorevoli, è la definizione di un’ “algoretica”: un’etica pensata dall’uomo, ma eseguibile dalle macchine e soprattutto capace di disciplinare il loro impatto sull’umanità. Rispettare l’individuo, garantendogli tempo di riposo, dignità e spazio vitale, è l’unico modo per evitare che la rincorsa al profitto e all’innovazione tecnologica si traduca in una nuova forma di schiavitù digitale. La pressione per lavorare “sette giorni su sette” e l’esaltazione del sacrificio sono il sintomo di una cultura che deve essere urgentemente corretta, prima che il modello “996” si consolidi e contagi stabilmente anche il mercato europeo.

Alessio Storace