
Uno degli strumenti di utilizzo per la creazione delle blockchain e delle convalide delle transazioni della rete di una criptovaluta è il “Mining” (traduzione: estrazione dei minerali) ed è in operatività su computer di signori chiamati Miners (minatori). I Miners svolgono un lavoro di creazione e di ricerca dei “Nodi” della Blockchain. È importante sapere che, se un Miner crea un Bitcoin o aggancia un Token (cioè, una criptovaluta costruita su una blockchain esistente) ne resta proprietario in parte, prendendone delle ampie ricompense (che ogni 4 anni vengono dimezzate) tramite un sistema chiamato proof-of-work (a prova di lavoro). Quindi lasciate i vostri impieghi per poter fare i minatori! Ma la realtà è tutt’altra. Gli algoritmi di elaborazione sono difficilissimi, i Miners si sono dovuti consorziare per arrivare al traguardo. I loro processori certo non sono i nostri portatili ed hanno bisogno di potenti cervelloni che utilizzano immense quantità di energia, molto spesso utilizzando quella riveniente da combustioni fossili (carbone). Inizialmente gli elaboratori sono stati installati in Paesi a basso costo di personale e di materie prime, ovviamente nel sud del mondo, che è anche caldo, come l’Iran. Il surriscaldamento dei calcolatori era talmente alto che ne richiedeva lo spegnimento al fine del raffreddamento, provocando dei preziosi rallentamenti ai fantastici profitti, costringendo così i proprietari a spostare gli impianti in paesi freddi come il Kazakistan, la Siberia o il Canada.
Gli americani sono più fortunati, hanno deviato tutto in Texas, grazie ai prezzi energetici tra i più bassi del mondo, possibili con l’utilizzo dell’eolico e la forte deregolamentazione sul tema dell’elettricità, in ragione della quale i clienti possono scegliere i loro fornitori di elettricità, e soprattutto l’atteggiamento molto tollerante che i leader texani hanno nei confronti delle criptovalute. Si stima che l’intera rete Bitcoin consumi in un anno più energia di quanto ne consumi un paese come l’Argentina o il Pakistan.
Energia non rinnovabile. Energia non riciclabile. Energia non pulita.
Tutto ciò in funzione delle entusiasmanti e facili ricchezze derivanti dagli scambi delle criptovalute.
La notizia recentissima è che anche BlackRock sta sdoganando la valuta virtuale, inserendone una piccolissima parte nei portafogli a uso scommessa. O come veleno somministrato a piccole dosi al fine dello sviluppo di antidoto?
Ci costano le criptovalute. Costano a tutti noi anche se nemmeno le sfioriamo. Ci costano in termini di inquinamento planetario e di perdita di intenzione rispetto a quelli che sono gli investimenti sul futuro. Pertanto, essendo nessuno escluso da questo sistema virtuale, va da sé che non è più possibile ignorarle.
Le Criptovalute non si fondano su economie reali. Spostano immensi patrimoni sull’intangibile privo di consistenza che spesso, come è già successo, si perdono in modo irrecuperabile. Generando false illusioni su facili guadagni, impegnano risorse che potrebbero essere utilizzate per lasciti preziosi alle future generazioni, sia in termini di qualità di vita, sia in termini di consapevolezza di cosa sia veramente il lavoro reale e quanto sia nobile in tutte le sue faticose pratiche e sfaccettature. Si spera, come dovere informativo del sindacato, di aver dato un minimo di coscienza ai colleghi, con poche righe e molte difficoltà descrittive soprattutto su aspetti tecnici sicuramente parziali, non esaustivi e imprecisi, che si muovono in un quadro mondiale virtuale molto complesso che opera in un periodo complicato, in un contesto caratterizzato da equilibri delicatissimi che potrebbero avere risvolti o percorsi impossibili da prevedere. Ma soprattutto, si spera di aver dato contezza di quanto possa essere dannoso e non distante dal nostro uso comune quotidiano un sistema vacuo che arricchisce pochi e danneggia molti, di cui non si quantificano ancora gli effetti e soprattutto di chi e per quanto tempo ne pagherà le conseguenze. Pronostico difficile da dare su un fenomeno molto più globalizzato ma su una storia già rivista: “La grande corsa all’oro”.
Valeria Restante
Redazione Professione Bancario