
Annina era abituata ad entrare e guardarsi intorno. C’erano molte persone in fila e, come sempre, Alessia era alla cassa. Alessia per Annina era una presenza rassicurante, quella ragazza salutava e sorrideva a tutti, era un piacere vederla. Magra e lunga lunga, portava dei deliziosi vestitini corti a fiori, coloratissimi. E soprattutto era velocissima a fare le operazioni. Si sbrigava perché così le rimaneva un po’ di tempo per fare due chiacchiere con chi aveva davanti, quegli stop informativi e gentili non disturbavano, nessuno protestava. I clienti le facevano regalini di ogni genere: cioccolato, caffè, caramelle, biscotti. Conosceva le esigenze di tutti, anche quelle di Annina, che tutti i primi del mese ritirava la pensione. Alessia le preparava quattro buste bianche e divideva i soldi equamente in ognuna: una per la spesa, una per la farmacia, una per le bollette e una per tutte le altre esigenze. Quando poi aveva delle uscite straordinarie, come il biglietto del pullman per andare in città e comprare le scarpe, gliene preparava un’altra color paglia, un po’ più grande, così Annina si ricordava che quei soldini erano per gli extra. Alle volte la memoria di Annina non era più così pronta ed aveva bisogno di essere aiutata. Ma quella mattina c’era qualcosa di strano. Alessia non rideva, chissà perché, forse aveva avuto qualche problema in famiglia, magari la notte il bambino più piccolo aveva avuto la febbre. Però anche i clienti avevano facce tristi e non c’era la solita confusione ma un silenzio strano.
Meno male che Annina aveva fatto le frappe per Alessia, le avrebbero riportato il buon umore. Ma quando arrivò alla cassa, Alessia accettò i dolcetti e con aria triste e amareggiata le disse che a giugno avrebbero chiuso la filiale e che tutti i clienti sarebbero stati trasferiti in città, nella filiale grande in periferia, lontana dal centro e dalla stazione dei pullman, e che per agevolare i compaesani, avrebbero lasciato attivi i bancomat. Annina rimase senza parole. Lei non aveva mai avuto la carta bancomat. Oltre ad avere un costo la riteneva pericolosa e poi non vedeva bene, non era in grado di ricordare il codice segreto, le avevano detto che non lo poteva tenere scritto sulla carta e, pure quando Alessia aveva provato a farglielo usare, le sue mani troppo tremolanti non riuscivano ad usare la tastiera. La chiamavano Annina proprio perché era piccola e quella macchina era difficile per lei, troppo alta. Pertanto, tutti i mesi, Annina per ritirare la pensione, avrebbe dovuto prendere il pullman fino al capolinea della città e un autobus che l’avrebbe portata fino a 200 metri dalla filiale e fare a piedi l’ultimo tratto di strada. A meno che non ci fosse stato qualcuno con l’automobile disponibile ad accompagnarla. Annina non aveva nessuno. Il cuore accelerò e le gambe tremarono forte. Non si sentiva più in grado di fare certe cose, e più il tempo passava più aveva difficoltà nel fare tutto. A casa e in paese si muoveva bene ma la città le faceva paura. Ecco, provò paura e sconforto, si sentì abbandonata, tradita. Era sempre stata cliente di quella banca anche quando aveva più volte cambiato nome. Non voleva andare alla Posta, non erano così gentili e c’erano quei vetri alti e spessi che le non facevano sentire niente. Annina era generosa e pensò ad Alessia. Anche lei sarebbe stata trasferita in città e la vita le si complicava tanto per via dei bambini, gli orari non le permettevano più di accompagnarli e riprenderli a scuola, e tutta la gestione sarebbe passata ai nonni, in più non avrebbe nemmeno preso la trasferta e i costi per i bambini sarebbero aumentati, erodendo il suo, già non splendido, stipendio. Per venirle incontro le avevano proposto di lavorare da casa, al telefono. E lei era dispiaciuta perché il contatto con il pubblico era bello, i clienti le volevano tutti bene e in filiale c’era sempre tanta vita, aveva scelto di non fare carriera ma non le importava perché lì, nel paese, si sentiva utile e quella storica filiale era bellissima.
Annina uscì dalla banca con il cuore infranto, talmente confusa e addolorata da essere incapace di provare rabbia nei confronti di chi, nonostante tutti gli anni passati e con tanta ingratitudine, aveva preso delle decisioni senza considerare né lei né tutti gli altri del paese che avevano dato tanto a quella banca. Passarono i mesi e Annina cercò di capire come fare per andare a prendere i soldi che le servivano per vivere. Quando arrivò il mese di giugno Annina si fece forza e la mattina prese il pullman per la città. Questo primo passo non era difficile perché ogni tanto lo faceva anche se ormai con molta fatica. Fortunatamente quella mattina c’erano altri compaesani che si recavano in banca, decisero di fare il percorso tutti insieme, la cosa la sollevò un po’, ma il timore per quell’ignoto la faceva tremare. Aveva pensato di fare una crostata con la marmellata fatta in casa da offrire a chi avrebbe trovato alla cassa, magari con un regalo sarebbero diventati amici e l’avrebbero aiutata con la divisione delle buste. Aveva paura per la borsa, la città era pericolosa per una persona sola, piccola e anziana come lei. L’autobus era il 32 ed era affollato, poi capì perché: in quella grigia periferia, oltre alla banca, c’erano dei brutti palazzoni con uffici e intorno molti parcheggi senza alberi ma con tante auto. Vicino alla banca c’era un bar anonimo e a seguire una sala dove facevano le scommesse, fuori c’erano brutte persone che fumavano in attesa di entrarci. La paura ritornò forte, non era abituata a quel tipo di gente e si sentì vulnerabile. Entrò in filiale che erano quasi le 11,00. Era molto grande, era una specie di piazza, delle macchine da un lato, poi un paio di dipendenti seduti alla scrivania, dei salotti con dei tavolini tondi, al centro della piazza una tavola lunga e stretta con tanti fili elettrici e in fondo alcuni uffici con pareti di vetro. Dall’altro lato dell’ingresso vide un bancone simile a quello di un bar dove c’erano due dipendenti. Annina si guardò intorno smarrita, non sapeva dove andare a prendere i soldi. Non c’era la cassa come quella di Alessia, nessuno l’aveva salutata e nemmeno la guardavano. Stava lì un po’ in disparte, senza muoversi a testa bassa, con la crostata tra le mani che le impediva di usarle. Prese coraggio e andò verso il bancone-bar. Una signora le disse che per qualsiasi cosa dovesse fare, era necessario prendere il biglietto al totem scegliendo il tipo di operazione. Annina era confusa, voleva solo i soldi della pensione, non riusciva a leggere senza occhiali, aveva schiacciato il pulsante ma il biglietto era caduto a terra. Fu in quel momento che si sentì chiamare. Pensò che fosse qualcuno che era con lei sul pullman che andava in suo soccorso. Invece le si avvicinò un signore in giacca e cravatta e stentò a capire chi fosse e come mai la conoscesse. Si presentò: era il vicedirettore, si ricordava di Annina e dei suoi dolci perché per un periodo era stato in sostituzione del direttore al paese. Annina faticò a ricordarlo, era passato qualche anno ed era cambiato, un po’ invecchiato. La accompagnò nel suo ufficio a vetri e la fece accomodare. Annina era provata. Era partita presto da casa e a quell’ora non era ancora riuscita a prendere i suoi soldi. Ma quel signore gentile riuscì a calmarla. Si fece dare il suo documento e dopo un po’ arrivò con una busta con dentro la pensione di Annina. Annina si sorprese perché sapeva bene che per il prelievo doveva firmare sulla lavagnetta luminosa come si era sempre raccomandata Alessia, le aveva insegnato a farlo soprattutto per quando sarebbe andata nella filiale grande. Annina apri la busta e conto’ i soldi, non erano divisi ma si accontentò. Il vicedirettore sorrise e le regalò tre buste bianche e una color paglia. Le disse che il mese successivo poteva tornare direttamente da lui e che le avrebbe fatto conoscere il cassiere, e che piano piano le sarebbe stato tutto più semplice. Annina regalò la crostata al vicedirettore chiedendogli di dividerla fra tutti i colleghi anche se erano tanti, promettendo che la prossima volta l’avrebbe fatta più grande. E così fu. Per circa un anno ancora Annina fece grandi dolci per la filiale di città. Poi il primo di un mese nessuna leccornia arrivò più in filiale. Il vicedirettore una mattina lesse il tabulato delle comunicazioni dall’INPS. E capì il motivo della dolce assenza. Si sentì fuori posto, quel mondo lavorativo non gli apparteneva più. Annina era il simbolo di un mondo passato che si stava estinguendo. Quella mattina quel tabulato fugo’ ogni dubbio sull’accettare o meno la proposta di andare in esodo. L’agonia della sua presenza lavorativa non era più necessaria. L’etica professionale non era più richiesta. I valori morali non erano più considerati. La pensione sarebbe stata inferiore del dovuto ma non era importante tanto quanto il fatto di riprendere in mano la sua vita e i suoi valori morali. Inoltre, scelse di farlo in onore di Annina e di tutti i clienti offesi come lei. In onore di Alessia e di tutti i colleghi che, come lei, non avevano più la possibilità di una crescita professionale. In onore delle filiali storiche che con sfregio erano state chiuse e abbandonate come quella del paese. E lo scelse in nome della cultura profonda e sana che sempre ha contraddistinto gli Italiani “Brava Gente” che per quell’istituto non dava alcun valore aggiunto ai profitti. Quel giorno, vedendo il nome di Annina su quel tabulato, scelse la libertà. E inviò la sua richiesta.
Valeria Restante
Redazione Professione Bancario