Salvatore Accardo in concerto per Villa Campolieto

Con una felice convergenza di bellezza climatica, musicale, paesaggistica ed architettonica, ha avuto luogo, pochi giorni fa, ad Ercolano, presso Napoli, il concerto per l’inaugurazione, dopo opportuni lavori di ripristino, dello spazio teatrale della monumentale Villa Campolieto.
Bellezza climatica e paesaggistica, si diceva, per la piacevolezza dell’aria, dapprima pomeridiana e luminosissima poi serotina ed intimamente suggestiva; architettonica, per l’evidente opulenza estetica della magnifica dimora settecentesca; e musicale, per la scelta di un programma che proponeva al numeroso, elegante pubblico convenuto “Le quattro stagioni” del celebre musicista Antonio Vivaldi, il “prete rosso”, come fu detto per il colore dei capelli e la carica religiosa coperta, la quale certo non gli limitava più di tanto il sentimento musicale se corrispondono a verità le parole dell’ottocentesco “Dictionaire historique des Musiciens” di Choron e Fayalle secondo le quali: “Un giorno che Vivaldi diceva messa, gli venne in mente il tema d’una fuga. Subito lasciò l’altare dove officiava ed andò in sacrestia per annotarne il tema; poi ritornò all’altare a terminare la messa. Fu allora deferito all’Inquisizione, che fortunatamente lo considerò come un musicista, cioè come un pazzo, e si limitò a proibirgli di celebrare messa per l’avvenire”.

Musica dichiaratamente rievocativa di realtà extra musicali, questa del grande compositore veneziano, concerti, per l’esattezza, ognuno canonicamente diviso in tre parti, la prima e l’ultima brillanti, quella centrale di atmosfera emotiva più intima. Ad ispirarle, quattro sonetti che descrivono i quattro periodi dell’anno: la primavera (“Giunt’è la primavera e festosetti/ la salutan gli augei con lieto canto/ e i fonti allo spirar de’ zeffiretti/ con dolce mormorio scorrono intanto/ Vengon coprendo l’aer di nero ammanto/ e lampi e tuoni ad annunziarla eletti;/ indi tacendo questi, gli augelletti/ tornan di nuovo al lor canoro incanto/ E quindi sul fiorito ameno prato/ al caro mormorio di fronde e piante/ dorme ’l caprar col fido can a lato/ Di pastoral zampogna al suon festante/ danzan ninfe e pastor nel tetto amato/ di primavera all’apparir brillante.”); l’estate (“Sotto dura stagion dal sole accesa/ langue l’uom, langue il gregge ed arde il pino/ scioglie il cucco la voce, e tosto intesa/ canta la tortorella e ’l gardellino./ Zeffiro dolce spira, ma contesa/ nuove Borea improvisa al suo vicino;/ e piange il pastorel, perché sospesa/ teme fiera borasca e ’l suo destino./ Toglie alle membra lasse il suo riposo/ il timore de’ lampi e tuoni fieri/ e di mosche e mosconi il stuol furioso./ Ah, che purtroppo i suoi timor son veri:/ tuona e fulmina in ciel e grandinoso/ tronca il capo alle spiche e a grand’alberi.”); l’autunno (“Celebra il villanel con balli e canti/ del felice raccolto il bel piacere, / e del liquor di Bacco accesi tanti/ finiscono col sonno il lor godere./ Fa ch’ognuno tralasci e balli e canti/ l’aria che temperata da piacere/ e la stagion che invita tanti e tanti/ d’un dolcissimo sonno al bel godere./ I cacciator alla nov’alba a caccia/ con corni, schioppi e cani escono fuore;/ fugge la belva e seguono la traccia./ Già sbigottita e lassa al gran rumore/ de’ schioppi e cani, ferita minaccia/ languida di fuggir, ma oppressa muore.”); l’inverno (“Agghiacciato tremar tra nevi algenti/ al severo spirar d’orrido vento,/ correr battendo i piedi ogni momento/ e per soverchio gel battere i denti;/ Passar al fuoco i dì quieti e contenti/ mentre la pioggia fuor bagna ben cento./ Camminar sopra il ghiaccio, e a passo lento/ per timor di cader girsene intenti./ Gir forte, sdrucciolar, cadere a terra,/ di nuovo ir sopra ’l ghiaccio e correr forte/ sin che il ghiaccio si rompe e si dissera;/ Sentir uscir dalle ferrate porte/ Sirocco, Borea e tutti i venti in guerra;/ questo è ’l verno, ma tal che gioia apporte.”).
Interpreti di tanto nota musica, l’illustre violinista Salvatore Accardo, in qualità di direttore e solista, accompagnato dall’Orchestra da Camera Italiana formata da Laura Gorna, Miriam Dal Don, Liù Pellicciari ed Aurelia Macovei ai primi violini, Chiara Morandi, Alessandra Pavoni Belli, Anastasja Petryshak e Caterina Demetz ai secondi violini, Francesco Fiore ed Angelo Cicillini alle viole, Matteo Ronchini e Claudio Pasceri ai violoncelli, Ermanno Calzolari al contrabbasso e Laura Manzini al clavicembalo.
Il ruolo dell’interprete musicale è quello di dar vita ad un atto creativo che, per lo più, posa, cristallizzato, sul pentagramma, tramutandolo in suoni vibranti. Talvolta, nel far questo, potrà giacere ad un livello espressivo infimo che avvilisce la pagina, offende le orecchie e tedia l’anima; altre si innalzerà verso la realizzazione autenticamente impagabile di quintessenze estetiche che allargano meravigliosamente il cuore, affrancano l’ascoltatore da ogni ambascia terrena, lo riconciliano con il mondo e con la vita e ne librano la parte più profonda e nobile in ineffabili sfere senza tempo. Tra questi due estremi è pure la possibilità di una compassata, diligente professionalità, che lascia scorrere i suoni con chiarezza, precisione degli attacchi e rispetto delle indicazioni di intensità sonora, la qual cosa, in virtù di contesti così splendidi come la bella serata ercolanese, può anche non dispiacere troppo.

Rosario Ruggiero