Si è spento lo scorso 28 dicembre a 79 anni, nella sua casa e circondato dai suoi cari, come ha scritto sua figlia Fania, nelle poche righe rese pubbliche per comunicare la notizia al mondo.
“Una storia di amore e di luce, adesso grandi tenebre. Una immensa tristezza cala su di noi con l’inizio del riposo sabbatico. Un gigante della scrittura. Splendore fra i nostri autori. Un gigante dello spirito. Riposa in pace, caro Amos. Ci sei stato una cara compagnia”; questo è stato il commento immediato del capo dello Stato israeliano, Reuven Rivlin, alla scomparsa dello scrittore.
Amos Oz era malato di cancro da tempo, ma questo non gli ha impedito di continuare le sue attività e la scrittura fino all’ultimo; stava, infatti, lavorando al suo ultimo romanzo e solo qualche mese fa era nel nostro Paese, al Taobuk Festival di Taormina, premiato con il Taobuk Award for Literary Excellence insieme a Elizabeth Strout.
Su quel palco, Oz aveva tenuto la sua lectio magistralis, confermando il suo sguardo acceso sul presente, la sua visione di intellettuale sempre in prima linea nella lotta contro le ingiustizie e i conflitti. E aveva puntato il dito sulla politica, diventata, a suo giudizio, una seconda industria dell’entertainment, del divertimento.
Se ne va il narratore israeliano più tradotto al mondo, probabilmente il più noto, certamente uno dei grandi interpreti del Secolo Breve.
Amos Oz è stato uno scrittore controcorrente, spesso ribelle, indimenticabili i suoi romanzi Una Storia di Amore e di Tenebra e La scatola Nera, colui che non esitò a dare una nuova lettura di Giuda, personaggio assai controverso per il mondo cristiano e molto complesso anche per l’ebraismo tradizionale per l’assonanza assurda e rischiosa con “Giuda” e “Giudei”; un’assonanza utilizzata come clava da parte di un diffuso sentimento antisemita antico e recente: quante volte l’Iscariota è stato descritto come l’“avido, bugiardo e traditore”? Uno stigma attribuito per secoli agli Ebrei in vari Paesi e contesti.
Nel suo romanzo Giuda, lo scrittore israeliano affrontò il tema del tradimento con la diversa e nuova prospettiva di colui che guarda e vede con probabilità più avanti degli altri. Rispondendo a una domanda di Elena Loewenthal per La Stampa, Amos Oz spiegò: “Sono sempre stato attratto dai traditori. Mi affascina la persona che gli altri chiamano “traditore” perché anticipa i tempi. È l’uomo che cambia mentre gli altri no e non capiscono, anzi temono il cambiamento. Anch’io sono stato chiamato e ancora mi chiamano traditore”.
Continuerà a risuonare la sua lezione contro il fanatismo, a favore della pace da perseguire attraverso il dialogo e il confronto, si vedano “Contro il fanatismo” e “Cari fanatici”.
Il fanatismo, spiegava il grande scrittore, non nasce con l’Islam o con la contrapposizione fra Israele e Palestina. È qualcosa di più profondo, una categoria dell’animo umano; per combatterlo, quindi, serve mettere da parte ogni ideologia e aprire lo spazio del confronto, in cui ciascuno deve fare un passo indietro per poterne fare un altro in avanti, assieme agli altri.
Rossella Marchese