Che a ricopiare i preziosi manoscritti antichi non fossero soltanto monaci, ma anche pazientissime ed eccellenti monache si sospettava da tempo nella comunità scientifica.
In questi giorni il sospetto è divenuto certezza.
La prova del ruolo attivo ricoperto da copiste donne nel Medioevo arriva dall’analisi della dentatura di una monaca vissuta nel XII secolo e sepolta nei pressi del monastero femminile di Dalheim, in Germania; il laboratorio ha rivelato tracce di pigmento blu oltremare, pregiatissimo colore ricavato dai lapislazzuli che arrivavano in Europa dal lontano Afghanistan, attraverso la via della seta, e che veniva utilizzato solo per decorare i volumi più preziosi, assieme all’oro ed all’argento.
La donna aveva tra i 45 ed i 60 anni, come spiega nell’intervista rilasciata alla rivista di settore americana Archeology la ricercatrice della Ohio State University Alison Beach che, assieme alla professoressa Monica Tromp del Max Planck Institute for Science of Human History, ha firmato questo studio; e quei pigmenti rintracciati sul tartaro della sua dentatura stanno ad indicare anni ed anni trascorsi ad inumidire con la lingua il pennello utilizzato per le belle miniature che adornavano i volumi ricopiati a mano.
Solo agli amanuensi e ai pittori di eccezionale bravura venivano affidati quei colori tanto rari.
La Germania fu molto attiva nella produzione-ricopiatura dei libri in quel periodo, ma identificare il contributo femminile a queste opere è sempre risultato molto difficile, anche perché molti amanuensi medioevali non firmavano il loro lavoro, in segno di umiltà. La cosa aveva indotto a credere che le donne avessero avuto un ruolo molto marginale in questa attività, come ad esempio quello di preparare le misture di inchiostri per la scrittura, o poco più, tuttavia le ossa di questa donna del Medioevo dimostrano il contrario.
Rossella Marchese