Genitorialità: un cammino complesso

La genitorialità è un cammino comune costruito in famiglia con l’amore, gli insegnamenti e l’agire dei genitori in relazione ai bisogni emozionali, formativi, educativi dei propri figli. Il comportamento dei genitori, nel rapporto con i loro figli, è un percorso di vita destinato ad andare oltre il vissuto presente. La genitorialità è cosa ben diversa dalla procreazione: è un tempo preciso che si scrive nella vita che scorre.

L’intrecciarsi di relazioni e compromessi del vivere in famiglia è alla base della struttura sociale nella quale cresciamo e che abbiamo il dovere di migliorare con impegno, costanza, tranquillità, rispetto di ognuno. Un buon genitore è anche un costruttore di valore per la società, una risorsa preziosa per il bene comune. L’accompagnamento allo sviluppo fisico, intellettivo, emotivo e sociale del bambino è un processo per niente scontato. La genitorialità è un’esperienza di vita esclusiva che non può risolversi in soluzioni preconfezionate, ma ha bisogno comunque di protezione e sostegno.

Non bisogna trascurare le potenzialità del vissuto genitoriale.  Credere nel ruolo centrale dei genitori – per un’ottimale costruzione della famiglia e della società – significa pianificare con cura leggi e comportamenti aziendali capaci del giusto equilibrio tra le esigenze della genitorialità e quelle della produzione.

Tutelare la genitorialità è dunque fondamentale, ma se questa viene vissuta come esclusiva prerogativa femminile occorre considerarla una vera e propria emergenza. Quando le responsabilità familiari si concentrano sulle donne che lavorano, la genitorialità è un “percorso ad ostacoli” con un suo preciso inizio e una conclusione sociale per niente scontata. La famiglia è una costruzione comune – del padre, della madre, dei figli – ma la nostra quotidianità ci racconta di lavoratrici sole, in equilibrio precario tra ostacoli di work-life balance e inadeguati supporti assistenziali. Uno strano paradosso del lavoro quello vissuto dalle donne: scampare alla iattura della disoccupazione femminile per poi subirne la contropartita del doppio carico di responsabilità. Non volendo rinunciare alla cura del figlio, la lavoratrice perde il protagonismo della propria occupazione tra ostacoli, tensioni psicofisiche e sensazioni d’inadeguatezza destinati a riflettersi sull’armonia dei rapporti familiari e sociali.

Alcune leggi ed accordi aziendali hanno già risposto a questa emergenza. La lavoratrice dipendente può contare su una serie di permessi – per periodi continuativi o frazionati – e su una certa flessibilità nell’orario di lavoro. Si tratta di vantaggi che si riducono con l’avanzare dell’età dei figli ed aumentano in situazioni di diversa abilità: Permessi per accertamenti prenatali; Congedo di maternità; Flessibilità per il congedo di maternità; Interdizione dal lavoro in determinate condizioni; Astensione dal lavoro per interruzione di gravidanza; Astensione dal lavoro per malattia del bambino; Riposi giornalieri per allattamento; Congedo parentale.

Un aiuto alla donna, ma non basta. Chiedere allo Stato e alle aziende ulteriori supporti alla famiglia è fondamentale per costruire la buona vita dei figli e il progresso sociale.

Elena Carfora – Brunella Trifilio