
Con il termine “acero” si indicano genericamente le latifoglie a foglie caduche che appartengono al genere “Acer” e alla famiglia delle “aceracee“. Essi sono degli alberi stupendi che adornano da secoli parchi e giardini di tutto il mondo. Per l’incredibile varietà di forme e dei colori, estivi e autunnali, gli aceri sono considerati gli alberi ornamentali per eccellenza. Isolati o a boschetto, lungo i viali o addirittura in vaso, all’arrivo dei primi freddi queste bellissime piante si accendono come d’incanto.
L’arte della coltivazione degli aceri è nata nel Paese del Sol Levante, dove autentici maestri giardinieri hanno saputo creare, già in epoca remota, innumerevoli piante e coltivato delle specie ornamentali. Oltre alle diverse specie spontanee, assai differenti tra loro come forme e caratteristiche originarie di varie regioni dell’emisfero boreale (Europa area mediterranea, Caucaso, Asia orientale, America settentrionale e centrale), vi sono innumerevoli varietà che si coltivano.
I frutti dell’acero hanno un aspetto assai particolare: sono formati da due semi saldati insieme, con due grandi ali divergenti che, quando si staccano dalla pianta, li fanno ruotare velocemente come le pale di un elicottero.
In questo modo, sfruttando il vento, i semi si possono disperdere anche a grande distanza dalla pianta madre.
L’acero è famoso per le sue particolari proprietà astringenti, dovute principalmente all’elevato contenuto di tannini, fitosteroli, allontoina e colina. Particolarmente indicato in caso di disturbi intestinali come dissenteria e flatulenza.
Per uso esterno agisce anche come rinfrescante ed antinfiammatorio nelle affezioni cutanee e arrossamenti della pelle in generale. I principi attivi degli aceri sono contenuti principalmente nella corteccia. In Italia ne crescono spontanee sei specie: l’acero campestre, l’acero minore, l’acero di monte, l’acero riccio, l’acero di Lobetius, l’opalo.
L’acero campestre, alto fino a 20 metri, comune in tutte le regioni fino a 1600 m di altitudine. Un tempo veniva utilizzato come tutore della vite e per formare siepi frangivento; l’acero minore, alto non più di 12 m, è una specie che predilige il caldo e sopporta bene la siccità; l’acero di monte, alto fino a 30 m, il più grande acero europeo le cui foglie, in autunno, assumono una colorazione giallo-vivo assai caratteristica.
Diffuso sui rilievi da 500 a 1900 m di altitudine, è utilizzato principalmente per scopo ornamentale; l’acero riccio è diffuso nell’Italia settentrionale fino a 1330 m di altitudine; l’acero di Lobelius, diffuso nell’Appennino meridionale, dove cresce tra 750 e 1700 m di altitudine, è simile all’acero riccio.
Il suo nome deriva da quello latinizzato del botanico fiammingo Matthias De L’Obel (1538-1616) autore di una celebre Historia Plantarum. L’opalo, è diffuso nei centro-sud del nostro Paese, fino a 1300 m di altitudine ma con un limitato impiego ornamentale.
I due aceri di origine nordamericana più conosciuti e apprezzati, pur avendo un nome scientifico simile, sono chiamati “A. saccharum e A. saccharìnum” e sono assai differenti tra loro. Dal primo, l’acero da zucchero, incidendo il tronco nel mese di febbraio, si estrae per sei settimane la linfa zuccherina che viene poi concentrata mediante bollitura per ottenere un liquido giallo-bruno dal sapore gradevole: lo sciroppo d’acero; mentre, mediante raffinazione, dalla linfa si ricava uno zucchero aromatico. Al pari degli aceri giapponesi, gli “A. palmatum“, sono entrambi ideali per creare attraenti macchie di colore nei parchi e nei giardini. Emblema del Canada è l’acero da zucchero sin dal XVIII sec. Immortalato dal 1965 nella bandiera di questo Paese nord americano, l’acero da zucchero, il “saccharum”, è una delle specie ornamentali più diffuse e apprezzate per le incredibili tonalità gialle e rosse che caratterizzano le foglie in autunno.
Molteplici sono le sue funzioni sia per la salute, sia per la bellezza. Per contusioni, distorsioni, dolori muscolari e articolari, fare lavaggi delle zone interessate, utilizzando il decotto di corteccia per uso esterno.
È particolarmente adatto a coloro che hanno una pelle fragile e delicata: fare un bagno rinfrescante e rivitalizzante, mettendo una manciata di circa 50 g di corteccia essiccata e sminuzzata grossolanamente nell’acqua del bagno già pronta, aspettando 2-3 minuti ed immergersi per almeno mezz’ora. Il celebre sciroppo, estratto e ricavato dalla linfa zuccherina dall’acero da zucchero, è diventato in cucina un importante ingrediente di molti dolci americani dal gusto molto gradevole e dall’elevato contenuto di sali minerali.
È il dolcificante naturale meno calorico dopo la melassa: contiene 252 cal. per 100 g contro le 392 dello zucchero raffinato. È inoltre un’ottima fonte di calcio, ferro e tiamina (vitamina B1). Tutte queste caratteristiche lo rendono un prodotto adatto anche a chi soffre di diabete.
La ricetta
Frittelle di tele di ragno di cannella e sciroppo d’acero
Ingredienti:
olio vegetale
per frittura,
210 g. di farina,
1 cucchiaino
di zucchero semolato,
3/4 di cucchiaino
di bicarbonato di sodio,
3/4 di cucchiaino
di cannella macinata,
1/8 di cucchiaino
di sale fino,
180 g. di latte,
1 uovo grande,
20 g. di sciroppo d’acero + 80 g. da spennellare
60 g. di zucchero a velo.
Preparazione:
Versare 2 cm. di olio in una padella capiente.
Scaldare l’olio a fuoco medio/alto. Nel frattempo mescolare la farina, lo zucchero, il lievito istantaneo e il sale in una ciotola capiente.
Creare una fontana al centro, aggiungere il latte, l’uovo, la cannella e un cucchiaio di sciroppo d’acero.
Mescolare gli ingredienti finché il composto non sarà liscio. Trasferire la pastella in un “sac à poche” grande, con un beccuccio 3 o 4.
Spremere direttamente la pastella nell’olio bollente formando una tela di ragno a piacere (da 7 a 15 cm) di diametro.
Cuocere finché il sotto non è dorato, (circa 2 min.). Usando le pinze o una schiumarola girare le frittelle e cuocere finché non sarà cotto anche l’altro lato (circa 1 min.).
Trasferire le frittelle su carta assorbente per asciugare. Spennellare con sciroppo d’acero e spolverare con zucchero a velo.
Ripetere con il resto della pastella.
Servire calde o a temperatura ambiente da sole o guarnite.
Ciro Luciano
Confronti e Intese n. 315, ottobre – novembre 2017 – Da “Il mondo delle erbe” allegato a “Confronti e Intese” n. 336 novembre-dicembre 2021