La “legge bavaglio” sull’Olocausto approvata dal Senato polacco ha scatenato l’ira di Israele

È stata bufera tra Polonia e Israele per la controversa legge approvata dal Senato di Varsavia a pochi giorni dalle celebrazioni per la Giornata della Memoria, lo scorso gennaio; una legge pensata per difendere l’immagine del Paese prevedendo fino a tre anni di carcere oltre ad una pena pecuniaria per chiunque definisse “polacchi” i campi di sterminio installati dai nazisti in Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il testo, promulgato dal Presidente Duda, è passato, poi, al vaglio della Corte Costituzionale, che ha deciso per una sospensione della sua efficacia. È quanto hanno riferito i media israeliani  citando come fonte il Ministero degli Esteri di Varsavia; sarebbe anche pronta una delegazione polacca che faccia rotta verso Israele per discutere della suddetta legge e porre fine al gelo diplomatico creatosi tra le due nazioni.

La Polonia, con questa mossa definita da subito pericolosa dagli osservatori internazionali, intendeva far piazza pulita di qualsiasi responsabilità contro i concittadini ebrei durante il secondo conflitto mondiale. Tuttavia, la storia è un po’ più complessa di come la si vuol fare apparire. È innegabile, infatti, che sia venuta in uso, soprattutto negli ultimi anni e soprattutto nella storiografia statunitense, la definizione di “campi polacchi” per indicare i lager nazisti sul territorio polacco occupato; una tendenza che non dovrebbe diventare oggetto di controversia penale, ma che riesce ancor oggi a toccare sensibilità e suscettibilità molto accese. Tant’è che  la risposta israeliana non si è certo fatta attendere. All’indomani dell’approvazione del provvedimento, agli inizi di febbraio, la tensione tra Israele e Polonia è arrivata alle stelle, fino ad annullare la visita del Ministro israeliano dell’Istruzione a Varsavia.

Dinanzi a questo fardello di dolore e violenze, comprese le collusioni con i nazisti così come le opere di salvataggio di ebrei, la Polonia, che ha il numero più alto di “Giusti” riconosciuti dallo Yad Vashem, aveva di fronte a sé due strade da percorrere, una, la più ragionevole e in parte praticata, quella di rendere quel peso oggetto di ricerca storiografica e di contestualizzazione, senza nascondere le responsabilità individuali; l’altra, quella di utilizzare il passato a fini prettamente politici. Jarosław Kaczynski, presidente del PiS (Diritto e Giustizia), il partito al governo, ha da tempo imboccato la seconda strada. Il parlamento polacco, in carica dall’autunno 2015, ha votato questa legge a conclusione di una serie non indifferente di norme che hanno limitato le libertà di informazione, associazione e manifestazione, hanno indebolito l’indipendenza del potere giudiziario sottoponendolo a quello dell’esecutivo, ed anche la libertà delle donne nel ricorso all’aborto. Con questo passo indietro si spera in un ritorno al buonsenso ed alla diplomazia.

Rossella Marchese