Mondo del lavoro, donne e diritti

Alcune riflessioni affinché l’8 marzo appena trascorso non si limiti a essere un’inutile ricorrenza, ma sia un’occasione per fare il punto su ciò che ancora oggi deve essere modificato nel mondo del lavoro e nella società civile, non soltanto riguardo alla condizione femminile, ma anche riguardo alle persone disabili.

I diritti che oggi possediamo sono il risultato delle lotte di coloro che ci hanno preceduto nel mondo del lavoro. Purtroppo, però, assistiamo sempre con maggior frequenza all’attuazione di innumerevoli tentativi di ridimensionamento di diritti ormai acquisiti e del mancato riconoscimento di nuovi.

Occorre sempre essere vigili per difendere ciò che una volta non si sarebbe mai creduto potesse essere messo in discussione.

Un efficace inserimento lavorativo può essere importantissimo per le persone con disabilità, così come per le donne, per accrescere il proprio senso di autostima e di realizzazione, essere utili e produttive, favorire il proprio arricchimento personale e relazionale.

L’uguaglianza nel lavoro è fondamentale per permettere l’emancipazione delle donne e la loro autonomia, come anche per garantire una serena attività delle persone con disabilità.

Di solito, invece, dobbiamo assistere a casi in cui, a dispetto di quanto previsto dalla legge, la disabilità oppure la maternità comportano delle penalizzazioni nell’attività lavorativa, come pure nella carriera economica.

Si valorizza quasi esclusivamente la quantità più che la qualità del lavoro svolto. E’ spesso presente, anche se in maniera nascosta, la perversa opinione che il lavoro di una persona con disabilità, così come la nascita di un figlio per la donna, impedisca una piena efficienza lavorativa.

La donna, eventualmente, potrà cercare nuove opportunità quando i figli saranno cresciuti, obiettivo spesso irrealizzabile nel mercato lavorativo italiano.

Con riferimento, poi, al complesso argomento dell’inclusione, va detto che le riflessioni più recenti e i modelli teorici più aggiornati sul tema dell’inclusione non possono che prendere il via dal riscontro che nella complessità della nostra società vi è forte il rischio di crisi sociali, molto più articolate e preoccupanti di quelle che hanno caratterizzato i decenni passati. Sarebbe, quindi, opportuno attivare un’azione, da più parti e da più soggetti, diretta a garantire la solidarietà, la cooperazione sociale e un nuovo modello educativo e di pensiero.

Le disabilità sono un chiaro esempio di eterogeneità. E’ essenziale dare sempre più risalto a quelle che vanno considerate delle pluralità di differenze che sono presenti tra di noi, soprattutto nell’ambiente lavorativo, affinché tali diversità possano diventare un’occasione di crescita dell’individuo e dello stesso ambiente lavorativo.

Per edificare tutti insieme un contesto inclusivo è essenziale valersi di un linguaggio nuovo.

Tale linguaggio inclusivo deve seguire nuovi modi riguardo alla diversità, in particolar modo per la disabilità, e per tutte le situazioni di maggiore vulnerabilità.

Si dovrà, quindi, via via superare dei linguaggi ormai obsoleti che riportano a immagini falsate e in qualche maniera stigmatizzanti, tali da rasentare anche l’offesa.

Alcune espressioni, quali per esempio disabile, invalido, handicappato, dislessico, autistico, paraplegico, fanno corrispondere l’essere umano con solo una delle sue caratteristiche.

Al contrario la disabilità è soltanto una parte della vita della persona.

Anche il termine diversamente abile è scorretto da un punto di vista scientifico e traboccante di un perbenismo di facciata che strizza l’occhio a un’inopportuna forma di pietismo. Tutti noi possiamo considerarci diversamente abili, poiché ognuno presenta una propria specificità e variabilità individuale rispetto a una norma, o peggio normalità, che è di fatto inesistente e lascia il tempo che trova.

Anche le espressioni “è affetto da” o “è portatore di”, sono molto inadatte, dando l’idea che la disabilità si manifesti nell’individuo, considerandolo, automaticamente, malato o sofferente.

La Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità dell’ONU (ratificata dall’Italia con L. 18/2009) obbliga a dare il necessario valore alla persona, ponendo la massima attenzione ai comportamenti e al linguaggio.

Essa riconosce, poi, il diritto delle persone con disabilità al lavoro, includendo in ciò l’opportunità di mantenersi attraverso la propria attività lavorativa e la libertà di scelta all’interno di un ambiente lavorativo che sia inclusivo e accessibile.

Solo qualora sia necessario, andrà utilizzato l’attributo riguardante la disabilità, non mancando di considerare sempre che tale attributo contraddistingue soltanto parte della loro vita.

Il lavoro e i luoghi di lavoro erano percepiti, fino a qualche anno fa, come fonte d’identità professionale, di crescita, di strumento di coesione, momento, quindi, molto significativo nella vita dell’individuo.

Le donne e le persone con disabilità dovrebbero ricevere sostegni adeguati, per tutto il corso della vita, al fine di poter esprimere pienamente le proprie potenzialità.

Purtroppo, però, sempre più sui luoghi di lavoro si verificano disuguaglianze, forme di eccessivo individualismo, dignità insufficiente, logoramento fisico e mentale, così da diventare elemento divisivo e fonte di vulnerabilità e di esclusione.

Andrea Brancaleone