Londra, la Polizia Municipale sperimenta il riconoscimento facciale a King’s Cross

Sperimentare il riconoscimento facciale, in nome della sicurezza e della prevenzione dei reati, in una zona con una mole impressionante di persone che transitano non è propriamente un’espressione rassicurante, soprattutto perché non si comprende quale possa essere la destinazione di una raccolta così massiccia ed invasiva di dati personali, alla fine della sperimentazione, qualora desse esiti negativi.

Eppure la Gran Bretagna è sempre stata un Paese sensibilissimo alle faccende riguardanti la privacy, molto più del resto del vecchio continente dove solo da poco, con l’introduzione del Regolamento 679/2016, il trattamento dei dati personali che garantisca l’interessato è divenuto materia uniforme e vincolante per tutta l’UE.

In realtà queste videocamere, che utilizzano la tecnica del rilevamento dei tratti somatici tramite sensori ed algoritmi, hanno già dato i primi frutti; lo scorso maggio, come ha documentato la BBC, un uomo di East London incensurato e non ricercato, ha voluto coprirsi il viso alla vista delle telecamere, come gesto di protesta per l’utilizzo di strumenti di sorveglianza così invasivi, ma la sua ribellione è durata poco e, fermato dalla polizia, gli è stata subito scattata una foto del volto accompagnata da una multa di 90 sterline per “disorderly behaviour”.

Epilogo paradossale per colui che ora sarà schedato per un tempo indefinito.

Tuttavia, passare dalle camionette di presidio a delle installazioni fisse in una zona a così densa percorrenza come King’s Cross e per una non meglio giustificata sperimentazione, con videocamere tanto invasive, ha suscitato tanta perplessità nell’opinione pubblica. Stiamo parlando di presidiare 270mila metri quadrati, dalla affollatissima stazione di treni fino alla sede di Google di Londra.

Le modalità di utilizzo di tutta questa mole di dati personali è la questione più problematica, ma non l’unica; già in passato sono emersi dubbi sull’efficacia ed accuratezza della tecnologia nel riconoscere effettivamente la persona individuata.

Lo scorso anno uno studio aveva riscontrato come il tasso di errore, il falso positivo, potesse  raggiungere addirittura il 90%, dubbi pressoché confermati da una nuova ricerca condotta dalla University of Essex e pubblicata in Agosto. Ma l’interesse della pubblica sicurezza muove e giustifica qualsiasi scelta nel campo del controllo della popolazione; il Garante britannico si è mosso subito per verificare l’effettiva applicabilità di questo sistema di sicurezza che influisce fin nell’orientare il comportamento delle persone e prenderà in considerazione l’ipotesi di adottare provvedimenti qualora si riscontrasse un’ingerenza nella vita e nelle libertà degli individui.

Rossella Marchese