In ogni momento della vita, l’individuo “dipende” da un’infinità di persone che lo hanno preceduto e da altrettante che vivono con lui nel presente.
Non a caso, la personalità di ciascuno, può essere compresa solo all’interno del contesto sociale di appartenenza. Eppure, nonostante questa interdipendenza sociale, nell’uomo esiste l’irrefrenabile bisogno di ottenere la supremazia sugli altri.
E’ stato Adler ad introdurre il concetto di “volontà di prestigio”, inteso come: “impulso che crea, nell’individuo, la tendenza ad uscire dal tessuto dell’interdipendenza sociale e a porsi, per ambizione competitiva e vanità, al di sopra dei suoi simili”.
Ed è in questo contributo che trova le radici, il concetto di: “senso d’inferiorità”.
Va anzitutto precisato che il senso d’inferiorità è universale ed insito in tutti noi in quanto esseri umani. Nella quotidianità abbiamo modo di sperimentarlo in assenza di consapevolezza; basti pensare alla sensazione d’imbarazzo o inadeguatezza che possiamo percepire se ci ritroviamo a un incontro mondano e non conosciamo gli altri invitati, oppure, alla competizione che prevale nel rapporto tra le famiglie e i propri vicini di casa o ancora, allo sforzo che si sente di “dover fare “per superare gli altri nel lavoro… sono tutte sensazioni dettate dal “senso d’inferiorità”.
Anche una smodata ambizione, può ritenersi espressione del complesso d’inferiorità, perché motivata dalla ferma volontà di lottare, per ottenere il dominio sugli altri.
E’ proprio questo scenario di “lotta per il prestigio” a svelarci il motivo per il quale le persone sono solite trarre piacere dal “pettegolezzo”. Umiliando gli altri, innalzano se stesse…un po’ come se si fosse collocati su di una bilancia a due piatti: se uno scende, l’altro acquista automaticamente in superiorità.
La tendenza a sminuire gli altri, per accrescere il prestigio personale, non è una rarità.
Generalmente, le personalità definite “psicologicamente sane” e “equilibrate” riescono a tenerla sotto controllo, mentre le persone che traggono soddisfazione dalla svalutazione degli altri (per la propria ambizione), mettono in atto un comportamento antisociale, palesando, ad uno sguardo esperto, l’insita insicurezza.
In conclusione, posto che il senso di inferiorità è dentro ognuno di noi, è preferibile non considerarlo come qualcosa di anormale in sé, anzi, se ne diventiamo consapevoli potremmo convertirlo in fonte di energia motivazionale. E sarà questa energia ad alimentare il nostro impegno che, libero dalla competizione, diventerà “costruttivo”, non logorerà i rapporti umani e contribuirà al nostro e all’altrui benessere.
Barbara Guercia