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Homediritti e societàUn decalogo per liberare le parole dalla violenza

Un decalogo per liberare le parole dalla violenza

25 Novembre 2017

 

Si chiama “Manifesto di Venezia” e viene presentato nelle sale Apollinee del Teatro La Fenice di Venezia nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: si tratta di un decalogo di scrittura, di utilizzo corretto del linguaggio, di attenzione alla cronaca e rispetto della dignità della persona sottoscritto dai giornalisti come impegno costante nel trattare tutti i casi di sopraffazione di genere, che sia straining, mobbing, stalking, violenza domestica, stupro o femminicidio.

Moltissime le firme del giornalismo italiano che hanno sottoscritto il documento, nella convinzione che la cattiva trasmissione della notizia, soprattutto se involontariamente, può rendere vittime due volte le donne prevaricate dalla violenza maschile. Quando si cede al pettegolezzo sulla vita o sul passato della vittima, quando si ricercano attenuanti, anche nell’uso delle parole, per descrivere il comportamento dell’aggressore o dell’assassino, utilizzando termini come “fidanzatino” o frasi del tipo “è stato un raptus dettato dalla passione”, non si descrive soltanto l’evento, ma si rischia di comunicare un giudizio che può essere frainteso dall’opinione pubblica la quale, invece, deve avere chiaro il principio di assoluta condanna della violenza sulle donne. Pertanto, nel decalogo stilato dai e per i giornalisti, quando c’è una donna che ha subito violenza e un uomo (di solito qualcuno con le chiavi di casa come il marito, il fidanzato, l’ex) che ha esercitato violenza, l’impegno è quello di raccontare il fatto dalla parte di lei.

Tra gli obiettivi della carta c’è il rispetto della deontologia con il rifiuto del sensazionalismo e della cronaca morbosa che divulga i dettagli della violenza, il no all’uso di termini fuorvianti come “amore”, “raptus”, “gelosia”, per crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento; e ancora, il rifiuto alle strumentalizzazioni con la distinzione di violenze di serie A e di serie B in relazione a chi sia la vittima è chi il carnefice. Ma c’è anche il raggiungimento della par condicio di genere nei talk show e nei programmi di informazione; è un dato di fatto che i nomi delle donne interpellate con costanza a commentare eventi di politica internazionali sono pochissimi e questa quasi assenza delle donne nel dibattito contribuisce a rafforzare il pregiudizio secondo il quale le donne sarebbero estranee a questo settore.

Recita il prologo del documento, frutto del lavoro della Commissione Pari Opportunità della Fnsi, insieme al sindacato Veneto dei giornalisti, alla Cpo Usigrai e all’associazione GiULiA giornaliste: «Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto, ci impegniamo per una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità».

Rossella Marchese

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