Donne e religioni: convertite all’Islam

Le donne europee convertite all’Islam sono molto più numerose di quanto si pensi. Dati ufficiali attendibili su questo fenomeno non ci sono, anche perché si tratta di conversioni spontanee, a differenza di quelle maschili che tanto stanno interrogando sociologi e psicologi dei nostri giorni, per i risvolti radicali e violenti che spesso assumono.

Per le donne, si tratta spesso di conversioni casalinghe, di cui poi, in un secondo momento, viene informato un Imam; sono donne, dunque, personalmente attratte da questa religione e dalla cultura che da essa deriva. È un fenomeno di cui non si conosce bene l’ampiezza, ma che le lunghe interviste di Virginie Riva, giornalista oggi corrispondente per Europe1 a Roma, ad undici donne francesi convertite all’Islam, nel suo saggio Converties, ne rivelano al mondo i particolari.

Simili per fascia di età, dai 25 ai 35 anni, ma diverse per livello di istruzione ed origini, queste donne spiegano la svolta religiosa della loro vita con argomenti simili: un percorso raccontato come una ricerca di spiritualità, come risposta all’angoscia della morte e come bisogno di far parte di una comunità che accoglie con affetto e calore.

Per tutte, essere state invitate da una famiglia musulmana a dividere una cena di Ramadan è stata un’esperienza fondamentale; quel misto di calda familiarità e spiritualità condivisa, con la lettura comune del Corano, ha costituito una scoperta nuova e felice.

L’Islam viene descritto come una religione semplice, moderna e spirituale e, dal momento che non esiste un clero regolare, libera.

Può stupire che si tratti di donne emancipate, che hanno sperimentato esperienze sessuali libere o convivenze e che, nonostante ciò, non guardino con occhio critico alla posizione della donna nel mondo musulmano. La discussione sul velo, da questo punto di vista, è chiarificatrice: non tutte lo portano, anche per motivi professionali, perché in Francia si può proibire, ma molte di loro hanno dichiarato che in futuro lo porteranno; non lo considerano un segno di sottomissione, una rinuncia ad esercitare la loro libertà o il loro fascino femminile, ma un segno di identità di cui sono fiere. Ed è vero che la loro religione protegge le donne e la loro immagine dallo sfruttamento sessuale e che dà al matrimonio un significato più profondo e garantista dal lato femminile. Ma al di là dei discorsi rassicuranti, questa prima ricerca sul campo porta all’incontro di undici donne convertite che, pure se parti di un movimento collettivo, rivendicano una conversione per motivi irriducibilmente personali, in un quotidiano infinitamente lontano da idee preconcette che favoriscono un’attualità deformata dai jihadisti.

Rossella Marchese