Estasi e atrocità: Gesualdo da Venosa e Maria D’Avalos

Sicuramente una delle principali virtù della musica è quella di rivelarci l’animo umano; talvolta anche certe sue clamorose contraddizioni su cui sarebbe bene riflettere profondamente.

Giacomo Puccini fu autore di tutt’oggi ammirate melodie con le quali espresse i più vari stati d’animo, chiara prova di capacità di immedesimazione emotiva, eppure, al tempo stesso, fu appassionato cacciatore, esercitando, per proprio diletto, la soppressione della vita altrui. Né la violenza di artisti fu rivolta solo agli animali indifesi, anche, purtroppo, impietosamente, ai propri simili, e certo, tra i crimini più efferati perpetrati da un musicista, fu l’atroce uxoricidio compiuto da Gesualdo da Venosa.

Personaggio di inclita schiatta, principe di Venosa, signore di ingenti domini feudali, discendente da re normanni, molto amico del poeta Torquato Tasso, in rapporto di parentela con cardinali, papi e santi, Gesualdo da Venosa esercitò il mecenatismo e praticò la composizione musicale con esiti altissimi e severo spirito autocritico, tra le sue opere non mancano pagine di ispirazione religiosa e dalle testimonianze risulta che suonasse con maestria il liuto e la chitarra. Eppure, tutto ciò non gli impedì di punire il tradimento della bella Maria d’Avalos, sua cugina e consorte, fingendo di partire per la caccia (anche qui l’esercizio della violenza come diletto), per poi tornare in piena notte, coglierla in flagrante, e togliere la vita di propria mano, o forse per mezzo di sicari assoldati, a lei ed al suo amante, quindi, a sadico ludibrio, esporne le salme pubblicamente.

“Donna: mistero senza fine bello!” dirà Guido Gozzano nel suo poemetto “La signorina Felicità ovvero la felicità”, ma, in quanto a sconcertante imperscrutabilità, anche l’uomo…

Rosario Ruggiero