In questo 2021 nel nostro Paese abbiamo avuto un nuovo minimo storico di nascite e si prevede che tale tendenza negativa sia confermata anche per i prossimi anni.
Secondo uno studio elaborato su modello statistico della University of Washington nel 2100 potremmo ritrovarci con una popolazione italiana pressoché dimezzata.
Sappiamo che il numero di donne in età feconda si è negli anni notevolmente ridotto, così come si è ridotto l’indice di fecondità, passato in un decennio da 1,45 figli per donna a 1,29. Sappiamo anche che l’età media delle mamme al primo figlio è costantemente in aumento.
Abbiamo dato la responsabilità alla pandemia, al senso di sfiducia e preoccupazione per il futuro creatosi di conseguenza, ma è dalla fine degli Anni ‘70 che in Italia il numero di figli per donna è sceso sotto la media di due (numero che garantirebbe il ricambio generazionale).
Sicuramente incidono le condizioni economiche e sociali delle famiglie peggiorate a causa della pandemia in corso, ma rimane il fatto che restiamo comunque il Paese con più basso tasso di natalità all’interno dell’UE.
Ma perché sempre meno donne italiane scelgono di diventare mamme? In realtà non si tratta sempre di una scelta.
Siamo un Paese in cui si crede ancora che il posto della donna sia a casa accanto ai figli. In cui la donna che lavora e che decide, ahi lei, di diventare mamma si trova di fronte a una scelta drastica tra la carriera e la famiglia. Quando non addirittura tra il lavoro stesso e la famiglia.
Molte donne hanno dovuto sopportare come conseguenza del divenire mamma,o anche solo della semplice espressione della volontà di divenire mamma,la perdita della posizione acquisita in ambito lavorativo nonostante competenza e dedizione.
Molte donne devono rinunciare al lavoro perché i costi di asili nido e baby-sitter superano di gran lunga il reddito percepito. E molte donne hanno invece dovuto rinunciare al proprio posto perché spinte dal comportamento di datori di lavoro che vivono a volte come vero e proprio tradimento il fatto che una propria dipendente abbia deciso di diventare mamma.
Alla base di ciò la convinzione che la nascita di un figlio non può che significare per una donna un minor coinvolgimento e una minore attenzione nei confronti della propria professione qualunque essa sia.
E i sensi di colpa che affliggono una neomamma di fronte all’impossibilità di trovare nella società un supporto costante per la crescita dei propri figli fanno il resto.
Nessuna meraviglia allora che ci troviamo paradossalmente in un Paese conuna bassa occupazione femminile e una bassa natalità.
Allora come regalo per la Festa della Mamma quest’anno oltre ai fiori speriamo arrivi l’impiego dei fondi del Recovery Fund quanto meno nella creazione di nuovi asili nido, nel prolungamento del tempo pieno scolastico, nell’incremento dei congedi parentali anche per gli uomini e nei servizi di assistenza ad anziani e persone con disabilità. Sarebbe un bel modo di festeggiare.
Coordinamento UNISIN Donne & Pari Opportunità