Tentativo di conciliazione non interrompe termine per impugnare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23692 del 10 ottobre 2017, ha confermato l’orientamento prevalente del giudice di legittimità che ormai non considera atto idoneo all’interruzione del termine prescrizionale per l’impugnativa giudiziale del licenziamento illegittimo il tentativo di conciliazione formulato ex art. 410 cpc, disattendendo le richieste del lavoratore ricorrente ad essa rivoltosi per ottenere la revisione sul punto della sentenza d’appello.

La Corte ha osservato come fosse applicabile alla fattispecie concreta il termine prescrizionale quinquennale di cui all’art. 1442 c.c. e che nel sistema ante Legge n. 183/2010, il cui articolo 32, si ricorda, ha completamente innovato la disciplina relativa all’impugnazione del licenziamento introducendo la previsione di un successivo termine di 270 giorni (poi divenuto 180 gg. con la Legge n. 92/2012) entro cui introdurre il giudizio -, fosse ormai pacifico che “Una volta osservato il termine di decadenza previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6 (60 giorni), con l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento che si assume essere privo di giusta causa e di giustificato motivo, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento può essere proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 1442 c.c., che è insuscettibile di essere interrotto se non dalla proposizione stessa dell’azione giudiziale e non anche dal compimento di attività diversa, come l’istanza per il tentativo di conciliazione stragiudiziale.”

“L’azione di annullamento del licenziamento, come tutte le azioni costitutive, è espressione di un diritto potestativo, in quanto tale caratterizzato dalla situazione di soggezione, anziché d’obbligo, in cui versa il soggetto passivo (il che importa l’irrilevanza di ogni suo comportamento ai fini, della realizzazione del diritto, rimessa alla sola attività del titolare), nonché dal sostanziarsi la realizzazione del diritto in un mutamento soltanto giuridico e non materiale. Come anche affermato in dottrina, questa duplice caratteristica esclude la possibilità di atti interruttivi, sia perché l’attività di realizzazione da parte del titolare produce l’estinzione satisfattiva dello stesso, sia per la predetta irrilevanza di ogni condotta del soggetto passivo, che rende giuridicamente non configurabile un atto di intimazione nei suoi confronti, atto di intimazione che, ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4, interrompe la prescrizione dei soli diritti di credito”

La decadenza dall’impugnativa del licenziamento, ha poi concluso la Corte, comporta non solo l’estinzione del diritto di far accertare l’illegittimità del recesso datoriale, ma anche di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, stante la chiara connessione causale intercorrente con le stesse, con la conseguenza che ogni domanda in tal senso va integralmente rigettata.

Maria Grazia Palmarini