La Casa Internazionale delle Donne di Roma rischia lo sfratto  

Questo è un anno importante per le celebrazioni in memoria del movimento femminista italiano. Cinquanta anni dal ’68, e una nuova forma di emancipazione sia nel corpo che nelle aspirazioni delle donne; quaranta anni dalla promulgazione della legge 194, che ha depenalizzato l’aborto mettendo la salute della donna al centro della tutela del legislatore.

Le donne della Casa Internazionale di Roma hanno vissuto in prima persona questi eventi, alcune, altre li hanno visti nelle 35mila fotografie, o 30mila volumi, o 900 manifesti e 600 riviste internazionali che costituiscono il patrimonio costruito dalla Casa. Molte ragazze per motivi di studio frequentano quotidianamente l’archivio e la biblioteca del palazzo dell’ex convento del Buon Pastore, nel cuore di Trastevere, dove è ora materialmente la Casa; lì hanno la possibilità di consultare l’archivio sul femminismo e di parlare direttamente con le protagoniste di alcune delle battaglie per l’autodeterminazione femminile più importanti.

La storia della Casa Internazionale, così come arriva alla ribalta della cronaca oggi, inizia nel 1985, quando il sindaco di Roma di allora, Nicola Signorello, decise di sgomberare palazzo Nardini e di concedere alle femministe romane un’ala del palazzo dell’ex convento del Buon Pastore, un vecchio penitenziario femminile in disuso. “Bonificare” quel luogo privo di diritti e dignità per donne e bambine fu un’altra sfida vinta dalle femministe italiane. Poi, nel 1995, grazie ai fondi per Roma Capitale, fu avviato un restauro della struttura che nel 2001 venne consegnata dal sindaco Walter Veltroni ai gruppi nel frattempo riunitisi nell’associazione Casa Internazionale delle Donne.

Il palazzo in questione fa parte del patrimonio indisponibile comunale, pertanto non può essere alienato in alcun modo, ma le moltitudini di attiviste che operano al suo interno se ne sono accollate la manutenzione ed hanno cercato di onorare la convenzione stipulata con il comune che, però, prevede un affitto mensile troppo alto per delle associazioni che lavorano senza fini lucrativi. Per questo le attiviste hanno cominciato a pagare solo una parte dell’affitto e hanno aperto una trattativa durata anni con le autorità cittadine per risolvere la questione. Nonostante il debito accumulato con il comune superi, ad oggi, 800mila euro di affitto non pagato, esse sottolineano che 600mila euro sono stati versati nelle casse del Campidoglio come parte dell’affitto e che le associazioni si sono occupate di tutte le spese, anche straordinarie dello stabile. Sono state presentate una serie di proposte, tra cui l’abbattimento dell’affitto in base alla legge sul terzo settore, la rateizzazione del debito, il riconoscimento dei crediti accumulati con il comune; ma, racconta Francesca Koch, presidente della Casa, il Campidoglio non ha dato alcun segno di apertura. Il sindaco, infatti, vuole indire un bando di gara per quell’edificio e riprendere il possesso, partendo dal presupposto che non pagando l’affitto qualsiasi proposta sarebbe inaccettabile.

Le donne, dunque, sono scese in piazza nei giorni scorsi per tentare di sbloccare l’empasse con il comune di Roma e far sentire la propria voce a riguardo.

Rimane un nodo da sciogliere, decidere cosa fare di questo pezzo di memoria storica del Paese.

Rossella Marchese