Molestie del coniuge: i messaggi reiterati configurano un reato plurioffensivo

Con sentenza n. 17442 del 18 aprile 2018, la I Sezione Penale nella Corte di Cassazione, in un caso in cui il coniuge separato aveva inviato all’ex moglie numerosi messaggi telefonici, a contenuto offensivo e minaccioso che, per le caratteristiche intrinseche, rivelavano chiaramente una volontà finalizzata a creare disturbo al destinatario dei messaggi, ha stabilito che la fattispecie di cui all’art. 660 cod. pen. (molestie) è un reato cd. plurioffensivo, in quanto tutela la pubblica tranquillità dai negativi riflessi che possono derivare dalle offese alla quiete della singola persona.

Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato in primo grado alla pena di 300 euro di ammenda, oltre alle statuizioni civili, per la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone, per avere, per l’appunto, inviato al coniuge separato, in un arco temporale da giugno a settembre 2013, numerosi messaggi telefonici, a contenuto offensivo e minaccioso, come comprovato dalla documentazione acquisita agli atti del procedimento, riproducente il contenuto dei messaggi e attestante l’orario notturno degli stessi. Contro tale provvedimento, il difensore dell’imputato aveva erroneamente proposto appello, riqualificato come ricorso per cassazione e trasmesso per competenza alla Suprema Corte in ragione della non appellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda ex art. 593 comma 3 c.p.p.

La Corte, nel precisare, secondo la massima su riportata, che l’art. 660 cod. pen. è reato cd. plurioffensivo, in quanto tutela la pubblica tranquillità dai negativi riflessi che possono derivare dalle offese alla quiete della singola persona, ha evidenziato che nel caso di specie la sentenza, in conformità a tale connotazione del reato, aveva dato atto che le comunicazioni dell’imputato, avessero interferito “sgradevolmente nella sfera privata della persona offesa, comprensibilmente privata della possibilità di vivere una quotidianità serena, attesa l’invadenza e l’intromissione continua da parte dell’ex coniuge”. La consapevolezza e volontà dell’imputato di recare disturbo all’ex coniuge era chiaramente provata dalle caratteristiche intrinsecamente offensive dei messaggi, come tali idonee a rivelare chiaramente una volontà finalizzata a creare disturbo al destinatario dei messaggi, e non già dalla reazione di quest’ultimo.

Maria Grazia Palmarini