Valutazione della ricerca e le soglie esagerate dell’Anvur

Il governo politico della scienza e della formazione universitaria è una questione molto seria. Piccolissimi cambiamenti hanno ripercussioni di enorme portata per le implicazioni che comportano sul piano dell’etica e della qualità della ricerca scientifica in Italia.

Il Decreto Gelmini del 2010 ha istituito l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), una procedura che, valutando in modo non comparativo la qualificazione scientifica dei candidati, fornisce, nelle intenzioni del legislatore, un patentino per partecipare ai concorsi locali, ma non il diritto ad avere un ruolo, per quei ricercatori, all’interno degli Atenei.

Recentemente, due Decreti di fine 2016 hanno dato inizio ad una nuova procedura, individuando tre valori soglia e decidendo che il candidato che non raggiunga almeno due di quei valori non possa essere preso in considerazione dalla Commissione.

L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), ente pubblico incaricato dal Ministero di gestire la procedura, nel pubblicare le tabelle con i valori soglia per ciascun settore concorsuale ha scatenato non poche polemiche, soprattutto per i giovani ricercatori che aspirano ad avere un’abilitazione per partecipare ai futuri concorsi per professore associato. In alcuni settori dell’ambito biologico, ad esempio, la soglia prevede la pubblicazione di 10 lavori su riviste peer-reviewed in 5 anni.

Le implicazioni di questi numeri sono inquietanti: un giovane ricercatore che per scelta o prassi di laboratorio abbia svolto un piccolo o piccolissimo ruolo in molti progetti divenuti lavori scientifici e abbia pubblicato molti lavori di medio o basso livello avrà la possibilità di essere valutato dalla Commissione, ma a contrario, chi avrà avuto la responsabilità di un progetto o abbia pubblicato pochi lavori di elevato o elevatissimo livello, ugualmente per scelta o per prassi etica del laboratorio, si vedrebbe sbarrata sul nascere la propria carriera. E se così, prospererebbe l’abitudine per cui tutti i membri di un gruppo diventerebbero autori di tutti i lavori del gruppo. E quale giovane sceglierà, allora, di imbarcarsi in progetti difficili o complessi che richiedano la messa a punto di nuove tecniche o strumenti e portare a risultati di qualità?

Rita Levi Montalcini, tanti anni fa, disse che per poter svolgere un ruolo nell’agone mondiale la ricerca italiana non doveva inseguire i modelli di paesi economicamente più prosperi, che porterebbero al massimo ad essere colonie o succursali di altri, ma caratterizzarsi per la presenza di gruppi piccoli o medio piccoli dove sviluppare le proprie idee e con la creatività che ci contraddistingue.

Rossella Marchese