Revenge porn: il reato, la nuova legge, le problematiche

Innanzitutto va delineata la fattispecie; letteralmente “vendetta pornografica”, consiste nello spiacevolissimo fenomeno, in crescita anche in Italia, di diffondere tramite condivisione, sui social network soprattutto, le immagini e i video riguardanti la vita privata e la sfera sessuale dei singoli individui, sia online che offline.

Le immagini possono ritrarre la vittima durante l’atto sessuale, o nuda, o in pose particolarmente esplicite, da sola o con il partner; quando questi contenuti vengono diffusi senza il consenso e all’insaputa della vittima, si profila non solo un danno spropositato alla reputazione del soggetto e alla sua vita relazionale ma degenerare nello stalking, nell’estorsione e, nei casi più estremi, può spingere al suicidio la persona offesa. Non stiamo parlando di episodi limite, ma di cronaca; una delle ultime vicende è ancora viva e concreta e non è servita la condanna mediatica di tali atteggiamenti a diffondere l’idea di concreto rispetto dell’individuo e della sua identità, anche digitale.

Dal punto di vista criminologico, il discredito sociale messo in moto dalla vendetta pornografica può essere considerato come una forma avanzata di cyberbullismo, messo in atto attraverso la ripresa della vittima inconsapevole, l’hacking dello spazio cloud della vittima (icloud, gmail, microsoft space, etc), ma anche mediante l’autoripresa di immagini e video successivamente condivise e di cui si perde il controllo.

L’Italia assiste ad un preoccupante aumento di tale fenomeno: il 6% dei giovanissimi fra gli 11 e i 13 anni invia abitualmente proprie immagini a sfondo sessuale per via telematica, con una prevalenza di ragazzine. Aumentando l’età, 14-19 anni, aumenta la percentuale (19%) di chi invia, anche al solo partner, materiale intimo, questi i risultati di uno studio del 2018 dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza; un altro sondaggio riferisce che per molti adolescenti, soprattutto maschi, appare normale filmarsi durante un rapporto sessuale e condividerlo con gli amici.

Il problema è sicuramente culturale, per cui entra in gioco un’anticipazione della tutela basata su un concetto semplice: se non ti riprendi o se rifiuti di farti riprendere non esiste materiale che ti riguarda, quindi nessuno potrà mai ricattarti o rovinare la tua reputazione.

Questo il punto di partenza del disegno di legge definitivamente approvato al Senato lo scorso 17 luglio sulla materia.

Innanzitutto definisce “revenge porn” come abuso sessuale tramite immagini l’atto di condivisione di immagini o video intimi di una persona senza il suo consenso, sia online che offline.

L’inserimento dell’art. 612 ter c.p. rubricato  “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, introduce due nuove fattispecie di reato: reclusione da 1 a 6 anni e sanzione pecuniaria da 5mila a 15mila euro per chiunque invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a sfondo sessuale senza il consenso della persona ritratta; stessa pena viene inflitta a chi, avendo ricevuto le immagini o i video intimi, li invia o li diffonde senza consenso. La pena aumenta se l’autore del reato è un partner o un ex, o se diffonde contenuti intimi tramite strumenti telematici o informatici quando la vittima è in condizione di inferiorità psico fisica o una donna incinta.

Il nodo del consenso è cardinale nella costruzione delle ipotesi di reato, in quanto dovrà essere l’imputato ad assolvere al gravoso onere di dimostrare di essere stato autorizzato  alla comunicazione e diffusione, una sorta di costituzione di presunzione in favore della vittima. Il dolo che si delinea è specifico, poiché l’agente deve essere consapevole della condotta adottata nonché del fatto di arrecare un danno al di là della realizzazione dello stesso. Ed è proprio a questo riguardo che appare evidente la problematicità dell’applicazione concreta: bisognerà definire meglio i limiti della punibilità, per non frustrare il diritto di difesa ed intervenire sull’equiparazione del regime sanzionatorio tra chi produce e diffonde il materiale e coloro che lo ricevono, dunque tutti gli altri, per i quali non per forza deve essere prefigurabile il reato pieno così come descritto dalla norma.

Certamente la Cassazione avrà lavoro da svolgere a riguardo, con tutte le polemiche che questo argomento si porterà dietro.

Rossella Marchese